I nostri ascolti

Come sono gli altri due, il seguito diretto e il recente (quello con la copertina da worst artworks)?

 

Ho pensato "minchia, peggio di questo Master of Disguise?" e l'ho cercata.

E sono davvero riusciti a fare peggio.

 

"After the Fall from Grace" è un ottimo lavoro, meno sparato rispetto a "Master of disguise" e quindi inquadrabile nell'US power più che nello speed metal, però la qualità è comunque alta. Al tempo Chris Logue era ispiratissimo, in "After the Fall from Grace" canta anche (piuttosto bene, ma non come il primo cantante).

L'ultimo lavoro, quello della reunion, non mi interessa. Ho ascoltato solo i singoli e questa versione dei Savage Grace strettamente heavy, quasi addomesticata, francamente non mi interessa.
Fino a qualche settimana fa il relativo CD, pur essendo uscito da pochissimi mesi, veniva venduto da Amazon a 9 euro: l'ho lasciato lì, anche se un po' di tentazione l'ho avuta, ma solo in nome dei vecchi tempi.
Ho preferito reinvestire i soldi risparmiati nell'acquisto di "Master of disguise".

 

Giudicherò ascoltando, col primo da come scrivi andrò sul sicuro, conoscendo i miei gusti. Invece l’ultimo ha dei voti davvero catastrofici.

 

Sei solo invidioso di quei baffi

 

Nella copertina di "After the fall from grace"

Anticipazione (Spoiler)

il tizio con la scure è il diciannovenne Gene Hoglan, all'epoca decisamente fuori forma.

 

Kinks, “Preservation Act 2” (rock musical, 1974)



Seconda parte di una lunga opera rock che i fan dei Kinks non hanno mai accettato del tutto, considerandola troppo teatrale. Io invece l'accetto eccome: amo l'approccio eterogeneo e le composizioni eccentriche di questi strani Kinks, con tanto di clarinetti, tromboni, sax, fisarmoniche, timpani orchestrali, flauti e cori femminili.

Ascoltando certi pezzi è facile pensare ai primi album dei Queen più prog e operistici, così come al Tom Waits più stralunato o al successivo Meat Loaf (“He's evil”, il cui riff di apertura fa venire in mente anche una certa band australiana...).
Il rock ortodosso è presente a sprazzi ma genera grandi pezzi come “Nobody gives”, che sembra uscita da un disco degli Who, “Flash's confession” (dalle parti del David Bowie più cupo) o la blueseggiante "Money talks".

Però nessuna canzone ha davvero senso, estrapolata dal suo contesto. Parliamo infatti di un concept e neppure di immediata assimilazione: 70 minuti di musica, con varie introduzioni parlate (skippabili). È richiesto un certo grado di attenzione, quindi; se non per i testi e la storia, almeno per la musica e i numerosi cambi di atmosfera perché dentro c'è letteralmente di tutto, dall'hard rock al walzer, dal folk medievale all'operetta. Soprattutto, è richiesto senso dell'umorismo per apprezzare l'amalgama.

Due righe sulla trama distopica comunque devo scriverle: il crudele capitalista Flash assoggetta l’Inghilterra e in particolare, per puro lucro, le zone rurali. Gli si oppone Mr. Black, un bigotto che sconfigge il tiranno e istituisce un governo all’insegna del puritanesimo spinto. Di male in peggio. A osservare e commentare la situazione dall'esterno c'è The Tramp (Il Vagabondo), che esprime il punto di vista di Ray Davies, autore di tutti i testi: avere a cuore il passato, le tradizioni e l'ambiente in cui siamo cresciuti, quindi la salvaguardia di ciò che siamo e siamo stati, non ha niente a che fare né col ritorno all'oscurantismo né con il progresso acritico.
Il ricco booklet del CD (ristampa remastered del 1998) spiega per sommi capi tutta la storia, palesemente satirica.

Con buona pace dei fan dei Kinks, per me questo è un signor disco. A parte un pezzo country interamente cantato da una voce femminile, tutto il resto è uno spasso. Poi certo, il fatto che a me piacciano Zappa e artisti sciroccati come Tom Waits, Alice Cooper, primo Bowie e i Queen art-rock, aiuta parecchio.

Media voti attuale su RYM: 2,80/5 su quasi mille votazioni (molti votanti saranno capitalisti o puritani).

Per iniziare a conoscere l'album:

 

Raven, “Nothing Exceeds Like Excess” (1988, heavy metal)




È il primo album dei Raven con Joe Hasselvander alla batteria: bravo, eh, ma io preferisco Wacko. Anche perché la produzione non aiuta Joe, il suono del suo strumento è un po' secco.

Il disco arriva dopo “Life's a bitch” (1987) e ne segue la falsariga. Certa critica vuole che qui non si raggiungano gli stessi livelli, io invece non scorgo divario.
I Raven non tradiscono lo spirito metal che avevano ritrovato dopo la triste parentesi commerciale di metà anni '80 e sfornano il solito lotto di canzoni ben riuscite, con dentro molto più roba di quello che si percepisce a un primo ascolto.

Non tutto funziona alla perfezione, per esempio “Die for Allah” è un gran pezzo ma fallisce clamorosamente il ritornello, però il CD scorre che è una meraviglia, diverte grazie ai ritmi martellanti e all'energia positiva che sprigiona (l'Alleluia che introduce il refrain di “In the name of the Lord” è spassosissimo).
Poi ripeto, bisogna ascoltare il disco con attenzione per notare certi preziosismi, i duetti/duelli tra basso e chitarra dei fratelli Gallagher sono criminalmente sottovalutati.

Mi piacciono un po' tutti i pezzi, compresa la pachidermica “Into the jaws of death” (quei tre menano di brutto anche quando rallentano) e quelli più semplici e influenzati dall'hard rock, tipo “The king” e “Kick your ass”.

Grandioso John al microfono, che si regala perfino un'introduzione a cappella in “You got a screw loose”, e validi alcuni testi, nei quali i Raven attaccano tanto l'estremismo islamico (in tempi decisamente non sospetti) quanto i soliti cristiani arraffa-soldi.

Cala leggermente sul finale però è senz'altro un buon album, non lo ascoltavo da tanto e lo ricordavo meno accattivante.

Preso nella versione umile ma onesta [cit.] dell'Armando Curcio Editore, che nel 1992 diffuse il verbo nelle edicole ristampando un sacco di classici:
Armando Curcio Editore - Encyclopaedia Metallum: The Metal Archives

Media voti attuale su RYM: 3,27/5 su quasi duecento votazioni.
Nessuna rece su TM.

Per iniziare a conoscere l'album:

 

Loudness, “Thunder in the east” (1985, heavy metal)



Gruppi nipponici come Seikima II, X Japan, Saber Tiger o Anthem mi hanno appassionato di più nel corso degli anni, ma i Loudness rimangono la band giapponese più importante, autrice di album notevolissimi per qualità e impatto.

Con “Thunder in the east” cercarono di conquistare una fetta maggiore di pubblico, erano gli anni '80 e chi voleva sfondare negli USA doveva rinunciare a un po' di aggressività. Ma i Loudness lo fecero con gusto e senso della misura, perché a parte una maggiore pulizia del suono e certe linee vocali più melodiche qui c'è solo heavy metal, specie nella seconda parte dell'album.

Incredibile Akira Takasaki alla sei corde, in ogni brano sei lì ad aspettare il momento dell'assolo e lui non delude mai. Nella bellissima “Heavy chains” c'è un furto ai danni dei Manowar, ma quello è l'unico pezzo che non ha scritto lui.

A me piace anche la voce di Niihara, con quella tendenza a “ingolare” tipica dei cantanti del Sol Levante. Sessione ritmica sugli scudi, invece, nell'ottima “Clockwork toy”.

Album eccellente, pur non essendo tra i miei preferiti di quegli anni.
Preso in CD a fine 2023, anche questo nell'edizione umile ma onesta [cit.] della Curcio.

Media voti attuale su RYM: 3,62/5 su quasi novecento votazioni.
Nelle liste dell'errante Dustx85 la media è pari a 76/100.
Qui la rece di TM (voto 85 su 100):
Recensione Thunder In The East - truemetal.it

Per iniziare a conoscere l'album:

 

AINA – Days of rising doom


Acquistato da me in digipack super lusso, doppio disco con DVD quando è uscito nel 2003. Erano gli ultimissimi anni dove il power metal era ancora molto in voga. Erano gli anni di Lord of the rings al cinema. E io ascoltavo ancora tanto questo genere. Erano anche gli anni d'oro di gente come Sascha Paeth e della Limb music GmBH. Roba del genere faceva da sfondo alle nostre partite da 3000 punti a Warhammer fantasy nella soffitta del nonno del mio amico annaffiate da barilotti da 5 litri della Wartsteiner.

Perciò per me questo disco era una manna dal cielo, una specie di Avantasia con gente nuova. Mi ha folgorato immediatamente la prestazione vocale di Thomas Rettke, un cantante della madonna che come diamine è possibile che sia rimasto praticamente nell'underground? Questo disco mi fece allora scoprire i Heaven's gate, oh quanta bontà.

Fu anche una goduria sentire dopo tantissimo tempo su un album power il buon Kiske in forma smagliante.

Ascoltandolo oggi mi riaffiorano tutti questi ricordi e comunque rimane un ottimo concept album, prodotto grandiosamente, pomposamente e ha una bella storia (molto principessa nella torre ma vabbè, stiamo parlando di power metal) e le canzoni raccontano magnificamente lo svolgimento della trama. Ben ammalgamati i vari personaggi/cantanti, un lavoro veramente notevole, da ascoltare tutto d'un fiato.

 

Ricordo la recensione su Flash, all'epoca se ne parlò bene.
Io non ci provai neppure, ad ascoltarlo: nella prima metà dei 2000 le metal opera, all'insegna di quella musica così pomposa, mi uscivano dalle orecchie.

 

Mi ricordo la copertina ma non l'album, dovrò cercarlo su Youtube.

 

Riot, “Shine on” (US power metal, 1998)



Album dal vivo di Reale (RIP) e soci, registrato durante il tour in Giappone e pubblicato dalla Metal Blade.
Nel ricomprarlo poche settimane fa (ce l'avevo già a inizio 2000) mi son dovuto accontentare della versione digipack, ma c'è da dire che all'epoca la Metal Blade sapeva ancora realizzarne di decenti; colpisce in particolar modo il booklet coi testi, cosa abbastanza rara (ma quest'anno è già la seconda volta che mi capita, dopo il Live di Bruce Springsteen).

Al microfono c'è DiMeo e la scaletta, giustamente, pesca soprattutto dagli album col buon Mike ma i Riot non indietreggiano davanti alla necessità di riproporre anche qualche classico dell'era-Speranza e di quella con Tony Moore. C'è dentro “Thundersteel” così come “Outlaw”, “Swords and Tequila” così come “Bloodstreets”.
Ovviamente DiMeo canta meglio i pezzi di Speranza ma se la cava egregiamente con le note altissime di Moore, adattando i pezzi alla sua voce più blues e sporca.
Nulla da dire sulla prestazione della band: Reale-Flyntz-Perez-Jarzombek è una roba tipo Tassotti-Baresi-Costacurta-Maldini, vai sul sicuro.

La registrazione è verace, durante i 17 pezzi (per 72 minuti di musica) sembra di essere in mezzo al pubblico
Per chi ama i Riot mark IV, l'acquisto è decisamente consigliato.

Media voti attuale su RYM: 3,40/5 su una sessantina di votazioni.
Nessuna rece su TM.
Per iniziare a conoscere l'album:

 

erano pure gli anni dei Children of Bodom...erano molto in voga ai tempi