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Sondaggio: il decennio metallico 2010-2019

Discussione in 'Sondaggi' iniziata da requiemscript, 28 Dicembre 2019.

  1. Utente 30523

    Utente 30523
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    Guest

    8 Gennaio 2020

    Io aspetto il decennio giusto.

    :lookaround:
     
    #16
    A Barney Panofsky e Ωmeditant piace questo messaggio.
  2. requiemscript

    requiemscript
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    Bradipandoom (cit.)

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    8 Gennaio 2020

    Aspetta e vedrai :lookaround:
     
    #17
  3. dreamwarrior

    dreamwarrior
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    8 Gennaio 2020

    Resta fuori roba di altissimo livello e probabilmente tra due ore la modificherei, ma ecco la top 11 :lookaround:, rigorosamente in ordine alfabetico

    Agent Fresco - Destrier

    Non è metal, non è prog, non è pop, ma questo disco è una vera benedizione

    Between the Buried and Me - The Parallax II: Future Sequence (2012)

    Ma potevano starci benissimo anche Coma Ecliptic e i due Automata. Unade band dall'approccio più complesso, anche quando ha cercato territori meno estremi. Sfido a ricordarvi un brano se non dopo molti ascolti.


    Haken - The Mountain (2013) e Affinity (2016)

    Gli unici veri eredi dei Dream Theater. Questi due dischi rappresentano però un'evoluzione ed un'emancipazione dagli standard di Petrucci & Co.


    Leprous - Bilateral (2011)

    Anche in questo caso non avrebbe sfigurato qualsiasi altro lavoro della loro eccellente discografia. Bilateral è quello che ha fatto conoscere l'estro e le doti vocali di Einar Solberg, uno dei migliori autori degli ultimi 10 anni.


    Ne Obliviscaris - Portal of I (2012)

    Un debutto sontuoso e imperdibile per tutte le vedove degli Opeth più estremi. Grandi capacità nel far convivere violenza e poesia


    Obiymy Doschu - Son (2017)

    Band ucraina sconosciuta ma disco fantastico, a patto di reggere la lingua madre. Una versione sinfonica e ancora più struggente dei Katatonia.


    Orphaned Land - The Neverending Way of OrwarriOr (2010)


    Il degno successore del classico Mabool e probabilmente l'ultimo disco davvero coraggioso, prima che diventassero i Nightwish israeliani.


    Thank You Scientist - Terraformer (2019)

    Anche per loro i dischi precedenti non sono da meno, ma Terraformer è la classica spacconata in tutto, dalla durata, alle peripezie tecniche, ma in un contesto di grande coinvolgimento.


    Vektor - Outer Isolation (2011) Terminal Redux (2016)

    Uno dei combo più geniali del decennio, degni eredi delle grandi band thrash. Ma non solo thrash, i Vector nascondono un universo fatto di musica inconcepibile e orrori innominabili, tipo la capa di merda di Di Santo
     
    #18
  4. §Draconist§

    §Draconist§
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    SHELL OF A MAN FORGOTTEN!

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    9 Gennaio 2020

    Sì, anche se avevano delle parti postrock non proprio a fuoco, a mio avviso.

    Azz, mi son dimenticato di inserire:

    Altar of Plagues - Tides (Ep)
     
    #19
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  5. Apeiron

    Apeiron
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    19 Gennaio 2020

    Decennio sorprendentemente buono. Tutto declina, io ho smesso quasi del tutto di seguire la scena extra-metal, ho mandato definitivamente a quel paese il mio interesse per il cinema, letteratura ed arti maggiori non esistono più da un pezzo, gli esseri umani si sono estinti, sostituiti da strane entità aliene con cui non si sa come approcciarsi - ma il metal vive e resiste. Forse perché è un genere che parla di morte dalla nascita? O perché è quello che si adatta meglio all'atmosfera di apocalisse continua in cui viviamo da almeno mezzo secolo? Boh. Fatto sta che di innovazioni non se ne vedono più, c'è un po' di monotonia nello stile, mancano i picchi dei decenni d'oro, ma di fronte a roba come quella che ho messo in lista proprio non mi posso lamentare. La butto: pur in assenza di certe vette, l'ho trovato più soddisfacente degli anni '00.

    I pesi massimi:

    Deathspell Omega - Paracletus
    Per me chiude il decennio precedente, anche concettualmente - però ok, piazziamolo qui. Forse stiamo parlando del punto limite raggiunto dal black e dal metal estremo più underground. Da quando si capì che satana è più interessante e maledetto di sesso e droga, dalla provocazione cafona dei Venom e il pop-satanfantasy dei Mercyful Fate si è passato ai tentativi sempre più spinti di far paura per davvero e si è approdati ai DSO che veramente aprono le porte dell'inferno, con un rigore intellettuale e concettuale che mette i brividi. Satana, è chiaro, non è più quello che spaventa le nonnine: è il nulla/caos di Bataille (ovvero: il sacro, ma alla rovescia), il principio di entropia, la dissoluzione dell'armonia cosmica, che i nostri rappresentano applicando in modo oculatissimo la lezione gorgutsiana al black. Non perdono la melodia, anzi, la corrompono continuamente, affascinando l'ascoltatore ma non concedendogli un solo istante di piacere e di abbandono (insomma, di purezza ingannevole). Sulla qualità dei testi si è parlato veramente tantissimo. Fanculo il satanismo razionale, la libertà individualista dell'Angelo Ribelle, l'edonismo maledetto: qui si guarda veramente dentro l'abisso. Forse sono l'unica band a cui l'epiteto religious si attaglia alla perfezione, perché in fin dei conti la loro ricerca tematica è religiosa, mistica, teologica; solo capovolta, con la luce usata per mettere in risalto le tenebre.

    Vektor - Terminal Redux
    Se affermo che i Vektor sono stati la band metal degli anni '10 non credo di sconvolgere nessuno. C'è una specie di assenso universale sulla faccenda, e in un'epoca dispersiva come la nostra questo è un autentico miracolo. I Vektor rappresentano appieno la prassi più diffusa del decennio: recuperare i filoni meno sfruttati del passato e mescolarli in modo imprevedibile, risultando freschi senza inventare nulla. Hanno riscoperto il tech-thrash dei tardi anni '80, lo hanno sporcato con il death e vaghe sfumature psichedeliche, ma con uno stile ed una personalità che si fiutano ad un miglio di distanza. Terminal Redux è un titolo che potrebbe riassumere il decennio, ed è anche un album grandioso. Hanno tentato il concept colossale da oltre un'ora, ci hanno messo dentro tutto, dieci brani da orgasmo, complessi, carismatici, pieni di riffoni indimenticabili, hanno raccontato una grande saga di fantascienza che aspira a dire qualcosa anche della nostra epoca, magari con un briciolo di adorabile ingenuità. C'è qualche eccesso, inevitabilmente. Glielo perdoniamo? Direi proprio di si.

    Bell Witch - Mirror Reaper
    Disco abissale, e passatemi il parolone. Non ho mai ho sentito una band spingersi tanto in profondità: la lentezza, la pesantezza portate al limite, si accompagnano ad una sincerità emotiva, spoglia, amara, che colpisce a fondo. C'è una sola traccia di ottanta minuti, a tratti quasi immobile, ma Mirror Reaper si ascolta senza (troppa) fatica, ti ipnotizza e ti ammalia, e non ti lascia scappare fino alla fine del secondo CD. Mettiamoci dentro pure la copertina che ha fatto epoca, ed ecco servito il capolavoro.

    MGLA - Exercises in Futility
    Un ottimo esempio di quanto sopravvalutato sia il concetto di originalità, perché non solo i MGLA non inventano nulla di nuovo ma sono, di fatto, il side-project tradizionale di una band più sperimentale come i Kriegsmaschine. Ottima, per carità, ma le vette raggiunte da album come Exercises in Futility o With Hearts Towards None non si oltrepassano. Melodia (mai banale), tecnica ed un feeling nero come la pece, freddo ma amarissimo, senza ombra di compiacimento... il black nella sua anima più intransigente.

    Blood Incantation - Hidden History Of The Human Race
    Colpo di coda del decennio. I Blood Incantation hanno fatto una sintesi dei filoni che hanno dominato il death della prima e della seconda metà del decennio: prima l'esasperazione tecnica alla death-cynic-atheist, poi, per contrasto, il ritorno di fiamma del death primitivo dei tardi anni '80 e dei primissimi 90s. Dai secondi hanno preso sound ed attitudine (registrazione rigorosamente analogica) e dai primi, ovviamente, la ricerca tecnica. Dopodiché hanno impacchettato il tutto e lo hanno spedito nello spazio, fra deviazioni cosmiche e psichedeliche che potevano rompere le scatole in un minuto e che invece sono così azzeccate e ben integrate da esaltare. Il risultato è qualcosa di vicino al disco death ideale; e non dimentichiamo il fantastico concept sci-fi...

    Gli altri grandi in ordine più o meno casuale, a partire dal black:

    Saor - Aura
    Difficile scegliere un album del buon Andy Marshall, visto che fa sempre più o meno lo stesso disco - un ottimo disco. Forse il migliore, o il più rappresentativo, rimane questo, per l'unione della più irruente passione degli esordi con un session drummer grandioso come Austin Lunn, che peraltro dà grinta notevole ad uno stile che rischiava un pelo di mollezza.

    Sargeist - Let The Devil In
    Alfieri del meloblack più semplice e classicone che ci sia, i Sargeist hanno semplicemente messo su una delle migliori collezioni di riff che ci siano in giro (anche se è vero che sono tutti molto simili fra loro).

    Aorlhac - Uno qualsiasi
    Uno dei migliori nomi della scena medievale: riff da orgasmo, epici e pieni di carica, una sezione ritmica grandiosa... la voce a volte mi urta un po', ma è un fatto di gusto.

    Blut Aus Nord - Memoria Vetusta III Saturnian Poetry
    Gli alfieri storici del metal nero francese, i BAN hanno sperimentato strade diverse e con questo album hanno trovato uno stile che mi affascina in modo particolare. È black classicissimo, melodico, ma con melodie strane e indefinibili che accompagnano alla perfezione il concept mistico-cosmico dei nostri. Vorrei più album così, magari senza sconclusionate scorribande psichedeliche...

    Darkenhold - Castellum
    Ok, chi ha seguito il topic sul medieval conosce il mio apprezzamento per il filone, di cui quest'album rappresenta uno dei migliori campioni contemporanei.

    Svartidauði - Revelations of the Red Sword
    Qualche tempo fa mi chiedevo: "com'è che dall'Islanda non sono venute fuori band metal?" Voglio dire: un paese con un'industria discografica sviluppata, persino di successo, legata ad un paesaggio ed un immaginario del genere (l'ultima terra pagana d'europa fino al medioevo, la patria di Snorri Sturlson)... non può non avere una scena black! Detto fatto: ora la scena islandese è sulla bocca di tutti. Purtroppo non amo l'eccesso di dissonanze, ma con RRS gli Svartidaudi sono riusciti a mescolare la melodia al caos senza banalizzarlo, e lo hanno fatto così bene che potrebbero aver aperto una delle strade del futuro.

    Kaevum - Natur
    Ok, forse sono NSBM, comunque il disco è veramente ottimo, un raw black dei più urticanti ma dotato di qualcosa di fiero ed etereo al tempo stesso.

    Marduk - Frontschwein
    Il disco black a tema WWII che avevo sempre desiderato. La nuova vita dei Marduk è sorprendente, anche se di fatto sono quasi un'altra band, sia per formazione, sia per stile e temi. I nostri hanno rivisto tutto dai tempi di Panzerfaust, optando per uno stile più marziale e cadenzato, dipingendo perfette atmosfere da apocalisse di fuoco e piombo. Incredibilmente buoni e ricercati i testi.

    Inquisition - Ominous Doctrines of the Perpetual Mystical Macrocosm
    Uno dei sound più particolari che abbia sentito, con quei riff dallo stile riconoscibilissimo, con una voce roca ed assurda che può anche sfociare nel ridicolo ma che in qualche modo è quasi ipnotica.

    Alda - Tahoma
    Odore di muschio, vento freddo e spazi sconfinati, libertà e malinconia. Dopo gli Agalloch il miglior parto della scena cascadiana, che da lì in poi s'è sgonfiata come un palloncino.

    Obsequiae - Aria of Vernal Tombs
    Bello l'ultimo, ma rimango legato a questo. Forse ancor più che medieval potrebbero essere i Summoning con un po' di carica in più e senza tastiere. Fra gli approdi più sognanti e fiabeschi del black puro.

    Akhlys - The Dreaming I
    Il side-project di Kyle Earl Spanswick è migliore dei Nightbringer, con un approccio meno barocco e dispersivo, più atmosferico e sibillino. Dimentichiamo le foreste innevate, gli Akhlys (pur venendo dal Colorado) fanno pensare ad una tempesta di sabbia, un flusso ipnotico di riff stranianti che ha qualcosa di orientale, mentre la voce spettrale di un jinn ci invita a perderci negli oscuri reami del sogno....

    Cult of Fire - Ascetic Meditation of Death
    Black metal ed India (peraltro da parte di una band europea) non è un'accoppiamento che suoni bene, ma questo è uno dei migliori dischi del decennio. Ok, c'è il sitar (e io lo avrei tolto), ma non è George Harrison che suona. Da momenti tiratissimi ad altri estatici e quasi commoventi, una bomba in tutto e per tutto.

    Batushka - Litourgiya
    In Litourgiya c'è tutta l'aura mistica e sacrale che cercavamo nel black, inserita in un album semplicemente perfetto sotto qualunque fronte, anche tecnico. Rileggendo in chiave deviata, ma non banalmente blasfema, le atmosfere del mondo ortodosso dell'Europa orientale, con un sound ed un'attitudine che lasciano il segno, i Bathuska hanno inciso il proprio nome nella storia della musica estrema. Della sceneggiata immonda che è venuta poi, il tacere è bello.

    Sulphur Aeon - The Scythe of Cosmic Chaos
    Nel 2012 sbuca fuori una band interamente dedicata ai racconti di Lovecraft e diventa la band lovecraftiana per eccellenza? Stiamo parlando dello scrittore forse in assoluto più saccheggiato dalla scena metal, ma tant'è. I testi nei SA hanno un'importanza centrale: non sono uno di quei gruppi che evocano in suoni il caos cosmico delle galassie lovecraftiane, il loro è un blackened death tirato e classico, ottimo sotto qualunque punto di vista; ma forse non sarebbe in questa lista se non fosse per la dedizione con cui i nostri hanno esplorato ogni anfratto dell'universo più visionario mai scaturito dalla penna di uno scrittore. I testi sono probabilmente scritti meglio dei racconti stessi (ok, forse non ci voleva molto...), e TSCC è l'apoteosi musicale e letteraria dei Sulphur, con la title-track che, in perfetta sinergia di musica e parole, ci immerge un orrore apocalittico fra i più esaltanti degli ultimi anni.

    Arkona - Khram
    Attendevo da tempo una svolta black da parte dei folkster russi. Masha si è fatta matura come cantante, come compositrice e come autrice di testi, di cui stavolta abbiamo una traduzione ufficiale in inglese, tanto per sottolinearne la qualità e l'importanza. Khram getta le fondamenta di una mistica pagana oscura, un ritorno alle forze elementari della terra, attraverso sette brani (più intro ed outro) che tirano una somma di quanto imparato dai nostri in quasi vent'anni di attività, ma declinandoli in chiave decisamente estrema, un black'ndeath da manuale in cui gli elementi folk fanno ormai da contorno. Forse c'è qualche lungaggine, ma personalmente rimane uno dei più bei regali che il decennio mi abbia fatto.

    Ulcerate - Shrines Of Paralysis
    Non amo la roba dissonante ed atonale alla Gorguts, ma questo mi pare una vetta e penso sia da citare, anche per la maturità e la padronanza dei mezzi raggiunta. È una colata lavica, un'apocalisse continua ed indifferente che ti travolge e ti fa a pezzi; dal vivo deve darti la sensazione di essere investito ripetutamente da un camion. La soundtrack dell'olocausto nucleare.

    Chthe'ilist - Le Dernier Crépuscule
    Scelta personale, perché obiettivamente a questi ragazzi manca un pelo di personalità. Il punto è che io sono un orfano di Nesphite, album che poteva dar vita ad un intero sottogenere e che invece non ha generato nemmeno un seguito. Gli impronunciabili canadesi hanno finalmente realizzato il mio sogno proponendoci 52 minuti incastri ritmici esaltanti in pieno stile demilichiano. Non hanno il memorabile rutto di Anti Boman, in compenso virano tutto efficacemente sull'atmosferico. Come da tradizione i testi rimangono narrativi e visionari, in seconda persona presente (tu fai questo, tu vedi questo...), ma spalmati su un piano più epico, fino alla delirante saga fantasy del brano in chiusura.

    Wormed - Krighsu
    Che peccato che questi ragazzi spagnoli abbiano sciolto la band! Non ho mai sentito un album brutal-tech-death come questo, davvero sottovalutatissimo. Un caos mai gratuito, dotato di un proprio principio di organizzazione interna. Gli inserti ambient, che di solito nel genere ci stanno come i cavoli a merenda, qui funzionano a meraviglia e credo la voce sia l'unico esempio di pigsqueal che mi abbia davvero convinto, più che cercare il disgusto sembra provenire da chissà quale creatura aliena.

    Crown of Autumn - Splendours from the Dark
    Unico disco italiano della classifica. Un album che ho amato tanto quanto mi ha fatto cagare l'ultimo Byzantine Horizons. Peccato. Non so se questo mix di melodeath ed epic metal sia un capolavoro, forse qua e là ha qualche caduta di gusto (le voci non mi fanno impazzire, specie il growl), eppure la bellezza dei riff, delle atmosfere, la fascinazione dei testi ne fanno un porto a cui torno periodicamente.

    Blood Ceremony - Living With The Ancients
    Per tutti gli anni '90 e parte dei '00 c'è stata la moda delle voci femminili angelico-spettrali e pseudo-operistiche, che poi hanno rotto le balle a tutti. Le voci femminili sono tornate negli anni '10 in chiave nuova: applicate al doom classico, con uno stile più ardito e teatrale che strizza l'occhio agli anni '70, anche se negli anni '70 nessuno cantava in quel modo (smentitemi se sbaglio, mi chiedo proprio da dove l'abbiano tirata fuori questa roba). Mi sembra che i BC siano stati gli apripista. Lei non è affatto un fenomeno e i flautini in sperticatissimo stile Jethro Tull non sono entusiasmanti, ma il resto funziona alla grande ed è uno dei dischi più genuinamente "divertenti" degli ultimi anni. Forse più hard-rock che metal.

    Elder - Reflections Of A Floating World
    Sono rimasto sbalordito di fronte alla forza suggestiva di questa band. Uno stoner melodico, etereo, psichedelico quel tanto che basta, che ti fa veramente viaggiare, con i suoi testi fantasy, le sue melodie particolari. Bellissime le copertine, e bellissima in particolar modo quella di Reflections, uno stile fumetto che ricorda le mitiche illustrazioni di Roger Dean per gli Yes.

    Khemmis - Hunted
    I Khemmis sono la grande promessa del doom moderno. Hanno scartato quell'attitudine nostalgica, immobile, che sembra scritta nel DNA del doom classico; hanno puntato su uno stile moderno, potente, quasi una sintesi di tutte le anime del doom tradizionale, con tanto di sfumature estreme da un lato e forti influenze heavy dall'altro. La loro patria principale è l'epic-doom, come si evince dalle copertine fumettose e fantasy, ma uno spirito profondamente tragico e serio, veramente emozionante, li salva dalla puerilità. Ottima la tecnica, ottima la voce, grandiosi i riff: Hunted è una vetta del doom moderno; speriamo però che i nostri si spingano ancora oltre.

    Smoulder - Times Of Obscene Evil And Wild Daring
    Si, a me è piaciuto un botto e lo piazzo qui. È vero che non c'è niente di nuovo, nessuna attitudine o personalità eccezionale, fatto sta che se ha ricevuto tanti consensi, anche il mio, deve aver pizzicato le corde giuste. E non solo grazie alla copertina fenomenale di Whelan.

    NON ASCOLTATI ABBASTANZA:
    Krypts - Cadaver Circulation: parrebbe un grande ritorno del brutal-doom, il death-doom trucido e senza melodia dei primi '90. Il filone è riaffiorato negli ultimi anni, ma è vero che è difficile praticarlo senza stancare l'ascoltatore. Questi ragazzi offrono la passeggiata catacombale che il nome richiama, ma fatto sta che non ho mai avuto troppa voglia di riascoltarli.

    Swallow the Sun - Emerald Forest and The Blackbird: mi sembra un esempio veramente molto buono di death-doom melodico e disperato, devo dire però che non amando l'attitudine troppo lagnosa l'ho lasciato sempre a prendere polvere. Davvero pesante l'esperimento funeral successivo.

    Esoteric: niente, non li reggo, neanche l'ultimo. Sento che sono grandi, ma non c'è un momento in cui abbia davvero voglia di farmi schiacciare dal loro asfissiante bobcat psichedelico.

    Ahab - The Giant: me l'ha passato un amico al volo dicendo che è pazzesco, io li avevo lasciati al grandioso esordio. Non l'ho ascoltato abbastanza per giudicare.

    Pallbearer - Foundations of Burden: al primo ascolto mi era parso un esempio davvero notevole di heavy-doom moderno.

    Qualche nome minore sparso che mi viene in testa (è una selezione del tutto casuale, ce ne sarebbero decine di altri da nominare):
    - Ethereal Shroud - They Became the Falling Ash (Depressive-atmospheric fra i più suggestivi che ricordi, almeno fra i recenti)
    Slaegt - Beautiful and Damed (mix di heavy e black, o heavy con scream ed un po' di tremolo pick. Purtroppo mi piace solo questo EP)
    Immortal - Sons of northern darkness (ok, grandi, comunque è sempre la solita roba)
    Sojourner - Empires of Ash (volevo metterli nella sezione principale, perché alcuni riff di questo disco sono davvero emozionanti, ma i ragazzi erano e sono ancora davvero troppo acerbi. Nel secondo album hanno preso un batterista vero, ma l'ispirazione è andata lievemente in calo)
    Monarque - Jusqu'à la mort (Ep canadese. Belle atmosfere nebbiose ed arcane. Gli LP non mi sono sembrati ugualmente buoni, ma speriamo per il futuro)
    Csejthe - Réminiscence (non avevano la personalità sufficiente per stare nella sezione di su, ma hanno dei riff melodici e tragici che sono fra quelli che più riascolto con piacere)
    Hoth - Astral Necromancy (meloblack USA dai testi fantasy, ma comunque tetro. Bello)
    Uada - Devoid of light (la rielaborazione del meloblack alla svedese è una delle tante strade seguite dal black statunitense, in perenne crisi d'identità. Bello, però forse questi ragazzi sono un po' sopravvalutati)
    Nocel - Furia (lo volevo mettere nella lista principale ma in fin dei conti mi ha rotto. Bravi, ma troppi momenti sperimental-sconclusionati e non mi piace la voce)
    Aara - So Fallen Alle Tempel (questa one-man band sospesa fra depressive, atmospheric e blackgaze mi ha colpito molto. Ci sono parecchi riff memorabili ed un'atmosfera post-apocalittica ed eterea al tempo stesso che lascia il segno, nonostante qualche inevitabile ingenuità. Voce urtante per me, ma forse è lo stile depressive)
    Coldworld - Autumn (non ha replicato Melancholie2, ma mantiene una classe invidiabile e va citato)
    Drudkh - A Furrow Cut Short (i battaglieri ucraini hanno dato il meglio nel decennio scorso, ma i loro ultimi dischi danno ancora parecchie soddisfazioni. Musica da tenere a tutto volume mentre si sfreccia in auto fra le rovine della civiltà industriale)
    Autopsychosis - Katalepsy (ce ne sono state milioni di band brutal/slam tecniche come loro, ma mi sembra che i Katalepsy abbiano messo a segno il colpo più efficace o uno dei più efficaci. Davvero estremi, eccitanti, con testi esagerati ed allucinati come pochi - ovviamente inintelligibili su disco)
    Grave Miasma - Odori Sepolcrorum (nel metal è una buona strategia esagerare: la prima volta che ho sentito il nome di questo album ho riso, poi ci sono tornato, sono rimasto affascinato dalla copertina e alla fine mi sono ritrovato ad apprezzare questo macigno death'n black cimiteriale, che offre tutti gli odori di incenso e marciume promessi da titolo e copertina)
    Revocation - Deathless (campioni del thrash'ndeath tecnico lanciato dai Vektor, non si avvicinano alle loro vette, ma vanno citati)
    Beyond Creation - Earthborn Evolution (ad un certo punto sono venute fuori triliardi di band death tecniche ed è diventata la gara a chi aveva l'assolo più contorto e la costruzione ritmica più schizofrenica. Fra centomila band tutte uguali devo dire che quelli che mi sono rimasti più in testa non sono gli osannati Obscura - che in pochi anni sembrano già diventati vecchissimi -, ma questi Beyond Creation, che non hanno nessuna qualità eccezionale eppure... boh, sono più gradevoli degli altri. Potremmo citare anche Gorod, Allegaeon e una marea di altri, tutti bravi, tutti stancanti)
    Alkonost - On The Wings Of The Call (no, non è proprio un capolavoro, è anche un po' goffo e kitsch, ma questo russian folk metal fiabesco è riuscito a far sognare il mio animo infantile e mi andava di citarlo)
    Be'lakor - Of Breath And Bone (il capolavoro è Stone's Reach del decennio precedente, ma questi ragazzi sono grandi e vanno citati)
    Saturnus - Saturn in Ascension (per qualità potrebbe stare anche nella classifica principale, ma stiamo parlando di una band degli anni '90 che ha lasciato intatto il proprio stile dalla notte dei tempi. In ogni caso per me il miglior esempio di romanticismo nordico applicato al metal)
    Mournful Congregation - The Incubus of Karma (come sopra, disco fantastico ma i MC hanno dato il massimo nel decennio precedente, con il loro funeral essenziale e melodico)
    Skepticism - Ordeal (idem. Folle l'idea di registrare direttamente il disco attraverso un live di inediti, assurda in particolare per il genere proposto. Non apprezzo molto il cambiamento che ha subito la voce. Probabilmente in studio anche gli aggiustamenti di pitch facevano la loro)
    Alucard - A Dracula (esempio sottovalutato di doom con voce femminile, davvero brava, teatrale ed inquietante la tizia. Concept su un b-movie anni '70 messicano di culto)
    Solstice - White Horse Hill (grande ritorno, stavolta virato verso una sorta di epic-doom celtico, potente ed emozionante. Speriamo che la nuova cantante non guasti tutto)
    Paladin - Ascension (di heavy capisco poco e niente, ma questo speed moderno con sfumature estreme mi ha preso parecchio, non saprei dire perché. Forse per le sfumature estreme)
    Heidevolk - Batavi (heavy folk, o "heavy pagan" olandese. Discone, nonostante una certa inespressività della performance vocale)

    E tanti, tanti altri...
     
    #20
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  6. The Dweller

    The Dweller
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    20 Gennaio 2020

    E dopo un bellissimo post incentrato sul metal estremo provo a farne io uno su quello melodico-classico. Inserirò album che secondo me sono disconi in tutto e per tutto e che un amante dei generi specificati dovrebbe ascoltare e apprezzare. Mi limiterò inoltre a 10 nomi in ordine cronologico che se no non finisco più: una top 10 di 10 top 10 annuali :D

    Nightwish - Imaginaerum (melodic, 2011)
    Da non fan della band (apprezzo per intero solo Oceanborn e Wishmaster), un album meraviglioso, estremamente vario e ispirato. Si passa da hit assolute a pezzi di metal sinfonico studiatissimi, passando addirittura per jazzate e popettate. E senza mai fallire un colpo. Un mezzo miracolo.

    Warlord - The Holy Empire (epic, 2013)
    I maestri tornarono dopo 11 anni con il loro terzo album, e che album. Monumentale in ogni dettaglio e non ancorato al passato, nè loro nè di altri. Un capolavoro, per me il miglior disco epic degli ultimi 20 anni.

    Stratovarius - Nemesis (power, 2013)
    Il progressivo distaccarsi dal classico sound Tolkkiano culminò in questo disco, in cui ogni cosa è al suo posto. Sound nuovo, canzoni fresche e ispirate, e suoni moderni che valorizzano il tutto.

    Atlantean Kodex - The White Goddess (epic, 2013)
    Lento e maestoso oltre ogni dire, con canzoni antiche e moderne allo stesso tempo, con questo album si presero il posto di leader della scena epic contemporanea.

    Elvenking - The Pagan Manifesto (power/folk, 2014)
    La band ritrovò la retta via che si stava perdendo, e lo fece con un discone che riassume grossomodo le varie sfaccettature del loro sound, con un gradito ritorno a tematiche consone al loro nome. La suite che apre il disco è una delle migliori mai ascoltate.

    Freedom Call - Beyond (power, 2014)

    Un sacchetto pieno di caramelle, tutte diverse tra loro e tutte buonissime. Col senno di poi l'abbandono di Zimmerman è stata una manna dal cielo, liberando la band da qualsiasi vincolo e permettendogli di raggiungere l'apice.

    Helion Prime - Helion Prime (power, 2016)
    L'unico esordio in questa lista. Band che riuscì fin da subito a trovare una propria dimensione, fatta di riff spesso in stile death melodico, tematiche fantascientifiche e un approccio vocale particolare (armonizzazioni insolite). Per me il miglior disco venuto fuori dalla scena power americana (precisazione: non US power) degli ultimi anni.

    Twilight Force - Heroes of Might Magic (power/symphonic, 2016)
    In una scena in cui copiare i Rhapsody è la norma, ecco qualcuno che riesce a metterci della personalità in un genere come il power sinfonico fantasy, così codificato. Trallallosi oltre ogni dire, ma per farlo così bene ci vuole talento e conoscenza, e loro ce l'hanno. Nel loro genere, nessuno come loro al momento.

    Orphaned Land - Unsung Prophets & Dead Messiahs (prog/folk, 2018)
    Band di classe assoluta, riuscita nella difficile impresa di reinventarsi con il precedente lavoro, qui raggiunge la piena maturità (anzi, una seconda maturità). Testi e concept di livello stellare, uno stile unico e inimitabile, canzoni fantastiche. Una delle migliori band in circolazione.

    Seventh Wonder - Tiara (prog/power, 2018)

    Altro concept album perfettamente riuscito, bellissima storia. Stile codificato ma che classe! Il disco che tutte le band power-prog in circolazione vorrebbero fare, ossia unire potenza, melodia e tecnica, senza che l'una prevalga mai troppo sulle altre. Tiara è tutto questo, e lo è a livelli eccezionali.
     
    #21
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  7. ador dorath

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    21 Gennaio 2020

    Sui Blood Ceremony non avrei saputo dire meglio. Anni fa avevo suggerito l’album di esordio in un contest, che mi fece eliminare ah ah.
     
    #22
  8. Vittorio

    Vittorio
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    Poi vediamo.
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    22 Gennaio 2020

    Splendida disamina davvero, ci sarebbe da farne un articolo.
     
    #23
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  9. Dustx85

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    L'elettrizzante

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    22 Gennaio 2020

    Complimenti @Apeiron me li appunto per le mie liste dei 2010s
     
    #24
  10. SapoMalo

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    22 Gennaio 2020

    Uhm... mi avete fatto meditare su cosa mi rimarrà di questi anni '80.... ehm, 2010's...

    In sintesi, le grandi prove di vecchie conoscenze, tipo gli album di Pinnick-Gales-Pridgen
    che uniscono l'hard dei King's X con la chitarra blues di Eric Gales o i KXM (di Scatterbrain),
    dello stesso Pinnick e di Lynch, con un disco che negli anni 90 avrebbe spopolato.

    Poi le nuove leve della scena heavy/power americana,
    con i già citati Helion Prime ed i "cugini" Dire Peril, gli ottimi Ironflame ed i blindguardiani
    più dei Blind Guardian, Judicator.

    Ma se dovessi considerare solo le band che mi hanno sorpreso, che mi hanno detto qualcosa di "nuovo"?

    Concordo sui multinominati Vektor e i già citati Elder di Reflections e Leprous di Bilateral e/o Pitfalls...

    Ma non aggiungerei molti nomi...credo solo gli Obscura di Diluvium
    ed i DVNE di Asheran (anello di congiunzione fra prog, stoner e death...)

    Insomma non tantissimo...
     
    #25
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  11. corpsegrinder jon

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    22 Gennaio 2020

    Complimenti @Apeiron ,summa davvero di valore del decennio trascorso,poi i gusti sono simili quindi tanto meglio:D
     
    #26
  12. ador dorath

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    22 Gennaio 2020

    Sicuramente dimentico qualcosa data la demenza.
    Non spendo grandi parole, preferisco far parlare la musica.

    Alcest - Ecailles de lune.
    Amaro.

    Hypomanie ‎– Calm Down, You Weren't Set On Fire.
    Malinconico.

    MilanKu ‎– Pris À La Gorge.
    Poesia.

    Void Of Silence ‎– The Grave Of Civilization
    Avvolgente.

    Novembre - Ursa.
    Lacrime, lacrime ovunque.

    The Gathering - Disclosure.
    Immancabile.

    Cult of Luna - Marines.
    Sognante.


    E per finire:
    The Flight of Sleipnir per me la band del decennio: Lore, Essence of Nine, Saga e V.
    Insuperabili.

    Un elenco di metal di frontiera, che poi non è più metal o non lo è mai stato. Perché c’è sempre un “post” qualcosa che bisogna ricercare.
     
    #27
  13. Apeiron

    Apeiron
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    22 Gennaio 2020

    Grazie ragazzi, pensavo di aver esagerato e che non l'avrebbe letto nessuno :lookaround:

    Lo proporrò come articolo nel capodanno 2021.
     
    #28
  14. requiemscript

    requiemscript
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    Bradipandoom (cit.)

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    29 Gennaio 2020

    Dunque dunque, vediamo un po'...

    -Abstract void: se è vero che il loro debutto era poco più di un'imitazione di quanto proposto dai Mesarthim, col secondo album Back to reality tutte le cautele vengono definitivamente buttate alle ortiche e la scelta di campo si fa netta e pure sfacciata: qui si mischiano impunemente black metal e synthwave, quella che io chiamo “musica da film tamarro degli anni '80 con tante belle tastierazze ronzanti”, e che nel revival dei giorni nostri viene spesso associata ad aspetti visivi coloratissimi e tendenti al pacchiano. Per fortuna in questo caso la pacchianaggine è tenuta saldamente al guinzaglio, e il risultato (pur mostrando ancora qualche piccolo segno di inesperienza) è molto, molto interessante. Si attendono sviluppi.

    -Anaal nathrakh: questi due posatissimi signorotti d'Albione hanno preso un andamento sinusoidale per quanto riguarda la qualità media dei loro album, con dei bassi mai troppo bassi e un paio di alti decisamente alti, quali Vanitas (che merita l'Oscar solo per il ritornello di A metaphor for the dead) e The whole of the law (un tripudio di violenza belluina e orchestrazioni maestose che neanche Mozart che dirige un concerto di cannoni a rotaia). Spaventavigliosi.

    -Andvaka: che gli islandesi e il post rock fossero grandi amici lo si sa da quando son venuti al mondo i Sigur ròs. Che fossero degli sperimentatori lo si è visto dagli ultimi dieci anni di black metal uscito dalla loro isola. Quindi, perchè non unire le due cose e usare come materia da scolpire quel blocco di marmo difficilmente modellabile che è il funeral doom? Detto fatto: il debutto Andvana consiste di tre tracce perfettamente integrabili nella tradizione del suddetto funeral, ma talune atmosfere, i crescendo e la propensione a una certa dose di melodia, seppur rarefatta, derivano senza ombra di dubbio da lidi post rock. Sono curioso di vedere ome proseguirà il loro percorso.

    -Apocalypse orchestra: altro giro, altro debutto che finisce tra i top. Sta volta si tratta di The end is nigh, da parte di questi individui svedesi calati totalmente nella parte di cantori di un Medioevo senza riferimenti spazio/temporali precisi, ma pieno zeppo di credenze, avvenimenti e tradizioni ascrivibili al periodo in questione. Come sound, prendono a piene mani dai Bathory più cadenzati e da gente come i Tyr (più che altro per via della voce del cantante), mentre il lato più propriamente doom pesca in parte dal lato più classico (tipo i Candlemass) e in parte sconfina nel death/doom, soprattutto riguardo la lentezza di certe ritmiche. Tutto ciò cosparso ovviamente da interventi dei più svariati strumenti musicali folkloristico/medievali. Sono anche parecchio bravi nel creare ritornelli efficaci e orecchiabili, cosa non sempre riscontrata in questo sotto genere.

    -Aquilus: nel caso dell'album Griseus più che di black metal sinfonico bisognerebbe parlare di musica classica (o meglio ancora, colonna sonora) in cui convergono anche elementi e strumentazioni tipiche del black metal. L'impianto compositivo infatti è più vicino a quello delle suite (neo)classiche che a quello tipico del metal, e ascoltando l'opera vengono in mente compositori tipo Howard Shore, Morricone e affini invece, che so, degli Emperor e dei Dimmu borgir. A tutto questo si sovrappone un velo attingente a sonorità vicine a certo folk, anche se centellinate lungo tutta la durata del disco. Consigliatissimo a chi vuole qualcosa di più ricercato e in un certo modo delicato rispetto al solito black sinfonico.

    -Arcturus: chi se ne frega se Arcturian è registrato maluccio: la sola Crashland vale decine di discografie, con Warp subito dietro a guardarle le spalle, e l'intero disco è un balzo avanti di anni luce rispetto alla noia del suo predecessore. Poi, come se non bastasse, c'è la miglior performance vocale di Vortex che abbia mai sentito. Poi vabbè, io sono stronzo e in diversi frangenti mi piace pure di più di La masquerade infernale, ma non fateci troppo caso...

    -Astronoid: pensate che unire black(gaze) e modernismi confinanti sia col post-qualcosa che col qualcosa-core sia un'eresia? OTTIMO! Pensate che il coefficiente di omosessualità latente del risultato sia maggiore di quello contenuto nella discografia dei Freedom call? PERFETTO! Pensate che aggiungere a tutto questo bel popo' una voce melodicissima, zuccherosissima, riverberatissima e che canta sempre a tonalità confinanti col falsetto sia un' invito a morire di diabete fulminante? FATTO! E tutto questo mirabolante pacchetto si trova incluso in Air, il disco di debutto di questi signori che hanno scelto di chiamarsi come un vecchissimo videogame da sala giochi. Come si può odiarli?

    -Atlantean kodex: come qualità e costanza direi che si possono meritare il titolo di band “campione” del decennio. Credo sia un' impresa quasi impossibile scegliere il migliore tra i tre album pubblicati. Una colata di epicità così massiccia non si sentiva dai tempi di Hammerheart, anche se i Bathory non sono i loro unici numi tutelari. Alla grandeur vichinga degli svedesi loro aggiungono una certa magniloquenza figlia dei Virgin steele, e una dose abbastanza consistente di Candlemass, Scald, Solstice e tutta la scuola epica del doom a dettarne un certo incedere (sia concettuale sia immaginifico) apocalittico.

    -Batushka: l'uovo di colombo. Mischiare la tradizione canora liturgica della chiesa ortodossa col black metal è un'idea, a posteriori, talmente semplice che si rimane sbalorditi dal fatto che nessuno ci abbia pensato prima. Perchè in fondo Litourgiya è semplicissimo: black metal melodico abbastanza lineare a livello di strutture, che concede qualcosa a livello di sperimentazione e influenze solo per quel che riguarda certi rallentamenti doom e l'uso di chitarre a otto corde, unito a cori e vocalizzi tipici della liturgia ortodossa (alternati al growl), il tutto ovviamente declinato in chiave iconoclasta e blasfema. Un trucchetto, una sciocchezzuola che come risultato ha avuto uno degli album metal più importanti di tutto il decennio (e oserei dire di tutto il nuovo millennio).

    -Bell witch: Mirror reaper è qualcosa di più che un semplice disco di funeral doom. E' il ritratto più fedele che si possa immaginare delle conseguenze della Morte a livello emotivo e mentale. E' un pieno che improvvisamente diventa vuoto, e questo vuoto diventa fondamentale almeno quanto la musica per formare l'insieme. Come da titolo, qui dentro si rispecchia il Mietitore.

    -Blind guardian: At the edge of time è il loro miglior album dai tempi di Nightfall, bilanciato molto bene tra pezzi tirati come non se ne sentivano da tempo (Tanelorn, Ride into obsession, A voice in the dark) e le ormai consuete suite (Sacred worlds e Wheel of time). Il successivo Beyond the red mirror invece, pur contenendo diverse bombette, è invecchiato malissimo e in poco tempo.

    -Botanist: lo confesso: i Botanist mi erano sempre sembrati una cagata pazzesca (cit.). Non tanto per la decisione di sostituire le chitarre con dei dulcimer, quanto per la loro totale incapacità di scrivere brani di qualsiasi forma, dimensione e coerenza. Però esiste Collective: The shape of He to come a dimostrare che un orologio rotto segna l'ora giusta due volte al giorno. Vuoi grazie a delle erbe o radici con effetti impervi (ricit.), vuoi grazie a un'improvvisa illuminazione, non solo sono riusciti a dare un senso ai brani, ma anche a riempirli di idee vincenti (tipo l'abbondanza di cori). Ora non rimane che aspettare un'altra illuminazione del genere, se mai ci sarà...

    -Burzum: c'è poco da dire: Fallen è un capolavoro vero, come i primi 4. Questa vena melodica soffusa che permea tutto l'album mi fa impazzire, e una roba come Jeg faller non si sente tutti i giorni. Degnissima conclusione della carriera del sociopatico più amato del metal (perchè da Umskiptar in poi si tratta di obbrobri da damnatio memoriae).

    -Chevalier: debuttanti interessantissimi, che si scapicollano allegramente tra speed, epic e tratti prog. Destiny calls è un assalto all'arma bianca incessante, e anche quando c'è da essere più tecnici i nostri insistono a galoppare manco avessero il diavolo alle calcagna. Poi ogni tanto per distrarre tutti buttano in mezzo degli inserti sonori grezzi al punto che non si capisce se sia qualche tastiera o effettacci da chitarra che contribuiscono sia all'atmosfera che al far alzare il sopracciglio dell'ascoltatore. Detto questo, è fondamentale sottolineare quanto la signorina al microfono abbia due palle cubitali.

    -Coldworld: un progetto che aveva un gran bisogno di conferme dopo lo strabiliante Melancholie^2, e che col suo successore Autumn non ha deluso, pur orientando il sound verso un approccio ancora più melodico, soprattutto vista l'abbondanza di voci pulite. La cosa un po' particolare (e che potrebbe far storcere il naso a qualcuno) è che la voce ricorda abbastanza quella di Chris Martin. L'effetto finale in alcuni casi è quello di sentire i Coldplay suonare black metal, e conoscendo l'intransigenza di molti fan del genere c'è da aspettarsi una certa contrarietà.

    -Crown of autumn: Splendours from the dark è stato un ritorno sulle scene completamente insperato e di qualità elevatissima, seppure orientato maggiormente verso soluzioni affini a certo metal classico (power, per la precisione) rispetto a The treasures arcane. Un disco meraviglioso che però non ha avuto seguiti degni del suo nome, visto che il successivo Byzantine horizons è scialbo a dir poco...è quel che succede quando ci si perde troppo in deliri mistici: qualcosa rimane in disparte, e quel qualcosa è stato l'aspetto musicale.

    -Cult of luna: solo loro potevano uscirsene indenni, anzi, in grande stile, da un concept basato su Metropolis di Fritz Lang (Vertikal). Un monolite cupissimo, sostenuto da dei riffoni spaccamontagne e da delle atmosfere glaciali a dir poco. Il seguito diretto è stato Mariner, collaborazione con la cantante Julie Christmas, lanciato verso lidi più “cosmici” che terrestri, ma che con la colossale Cygnus mette ben in chiaro che sono sempre loro i signori e padroni del post-metal. L'ultimo nato A dawn to fear invece prelude a un nuovo cambiamento, ma mi sembra troppo prematuro valutarne la portata (anche se sicuramente l'ascolto non lascia indenni).

    -Desaster: The oath of an iron ritual è la colonna sonora ideale per la stagionale Sagra della Porchetta, ma in salsa metallica. Caciara black/thrash alla tedesca con una (grossa) punta di epicità che non guasta mai, il tutto guarnito dal cantante con l'ugola più bisunta e sfrigolante del Palatinato...sul serio, sembra di ascoltare una friggitrice parecchio incazzata mentre urla. Birra e salsicce per tutti!

    -Doomsword: The eternal battle è il miglior disco epic di questi ultimi dieci anni assieme a quelli partoriti dagli Atlantean kodex, il miglior lavoro dei Doomsword e pure un'opera che sarebbe ora di iniziare a considerare un classico del genere. Peccato che la band sia sparita nel nulla.

    -Et moriemur: Epigrammata è stata la mia personalissima quadratura del cerchio riguardo una fissazione che mi accompagna da anni: trovare qualcuno che riesca a fondere in maniera coerente canti gregoriani e metal. Loro con questo disco sono quelli che ci sono riusciti meglio, anche se la tematica scelta non è delle più originali (e poi a fare una messa da requiem metallizzata ci avevan già pensato i Virgin black, con risultati difficilmente eguagliabili).

    -Fvneral fvkk: il loro debutto Carnal confessions è il manuale di come non inventare assolutamente nulla ma avere comunque un'ottima personalità. Il sound è doom che più classico non si può, tra Candlemass, Solitude aeturnus e compagnia piangente, ma rinforzato da un piglio quanto mai ecclesiastico, sia nelle tecniche (gli intrecci vocali fanno di tutto per ricordare i canti gregoriani e i riverberi paiono presi pari pari da una cattedrale), che nel morboso concept, che li vede narratori di tutte le oscenità nascoste da crocifissi e abiti talari.

    -Galneryus: in questo decennio hanno sfornato una caterva di album, di cui Resurrection, Angel of salvation e Vetelgyus sono i tre picchi, soprattutto il secondo, che considero l'apice della loro carriera. Il buon Syu si conferma un guitar hero mostruoso, anche se forse un filino troppo produttivo.

    -Germ: che Tim Yatras fosse un signore con capacità compositive fuori della norma ci avevano già pensato gli Austere a mostrarcelo, ma che potesse inventarsi follie iconoclaste come quanto proposto in Wish (il debutto del progetto Germ) non era così immediato pensarlo. Si parla di una spiazzante via di mezzo tra depressive black metal, elettronica e melodie (sia vocali che “sintetiche”) prese pari pari dal synth pop più ottantiano che vi possiate immaginare. Tipo i Depeche mode più allegrotti che duettano coi succitati Austere. Peccato che coi lavori successivi si sia di nuovo appiattito verso il lato più depressivo della proposta, perchè quest'album ha dato involontariamente il via a una deriva molto invadente di certo black metal, e sarebbe stato bello vederne il seguito.

    -Grand magus: sia gli album precedenti che i successivi non mi hanno mai detto nulla, ma Hammer of the north ha un non so che di particolare che ancora oggi, dopo anni, mi fa scapocciare come un matto. Niente fronzoli, tanti bei riff e melodie semplici ed efficaci. Bello come le tagliatelle della nonna.

    -Grave upheaval: il debutto senza titolo è la cosa più gorgogliante e incomprensibile che abbia mai sentito, un tappeto costante e indistinto di basalto che si scioglie in un cratere vulcanico. Detto ciò, va ascoltato, perchè è uno degli “estremi più estremi” mai raggiunti da questa musica. Se preferite qualcosa di leggermente più accessibile, provate il secondo album...che però somiglia molto a quanto fatto (meglio) dai Temple nightside, quindi...Comunque, considerate che costoro sono cuginetti dei Portal, e traetene le dovute conclusioni.

    -Hail spirit noir: prendete un genere come il black metal, fategli fare surf e cospargetelo di King crimson. Il risultato sarà molto vicino a quanto proposto da questi greci pazzerelloni (già conosciuti in casa Transcending bizarre? e Dol ammad), che in tre dischi (Pneuma, Oi magoi e Mayhem in blue) si sono divertiti a giocare con le materie di cui sopra, tra orecchiabilità quasi radiofoniche (Haire pneuma skoteino), deliri mistici vicini a certo prog rock (Lost in Satan's charms) e tantissime suggestioni tra lo stramboide e l'orrorifico, il tutto con un sapore squisitamente retro'.

    -Hamferd: proprio bravi questi faroesi, che debuttando con Evst hanno mostrato a tutti quanto bene funzioni il connubio tra un death/doom di scuola scandinava e la particolare musicalità della loro lingua madre. Essa contribuisce a dare ai brani un mood ancora più pessimista e malinconico, un certo fascino esotico e l'atteggiamento compassato di una veglia funebre. Peccato che con il secondo album l'abbiano fatta un po' fuori dal vaso: il tentativo di aggiungere influenze post rock all'insieme è lodevole come idea, ma purtroppo poco riuscito nei fatti.

    -High on fire: cosa succede quando Matt Pike si sveglia con la luna storta e una chitarra a nove corde (le tre grosse normali e le tre piccole raddoppiate come in una 12 corde) tra le mani? LEGNATE! Ecco cosa. Che poi sarebbe il sottotitolo per quel catalogo di papagni in faccia che è Snakes for the divine, cioè quel disco che le Persone Bene mettono su quando decidono di diventare Persone Male Assai Scontente Del Quotidiano. Catarsi & Martellate.

    -Holy martyr: Invincible è l'album epic metal che i giapponesi non hanno mai avuto il coraggio di fare (a parte i Gaisen march, a cui i nostri si sono ispirati...ma gli originali erano forse troppo sbracati). Darkness shall prevail invece è una faccenda moooolto meno immediata. Bellissimo ma impegnativo.

    -Imago mortis: Carnicon è “solo” un disco di black metal che più classico non si può. Ed è bellissimo. Quando deve spaventare, lo fa alla grande (complice anche l'interpretazione magistrale alla voce di un Abibial in stato di grazia, capace di sdoppiarsi tra diversi personaggi in dialogo tra loro), così come quando si ricorre alla melodia (Il canto del negromante è uno dei più bei brani black metal che abbia mai sentito proprio grazie a questo aspetto). In più è uno di quei casi in cui anche la confezione fa la sua parte, con testi e note esplicative a corredo dettagliatissime e molto interessanti, in aggiunta alla traduzione in lingua inglese di tutti i testi.

    -In the woods...: non mi sarei giocato un euro sul loro ritorno, invece loro se ne sono fottuti delle scommesse e sono tornati...almeno a metà. Se il disco del comeback (Pure), vedeva una lineup con ancora all'interno i fratelli Botteri cimentarsi con un sound che parte da Omnio per avvicinarsi a certe influenze nordiche (Borknagar ed Enslaved su tutti), il suo successore Cease the day è rimasto in mano completamente al nuovo cantante (nonché, a quanto pare, uno dei principali motori dietro la reunion), col solo Anders Kobro come reduce della vecchia guardia. Riguardo quest'ultimo lavoro è forse l'album più completo, una sorta di grande riassunto di quasi tutta la carriera dei nostri (con anche rimandi voluti a certi brani specifici)...anche se vengono totalmente omesse le sperimentazioni presenti su Strange in stereo, forse perchè troppo estranee all'insieme.

    -In tormentata quiete: su Finestatico anche loro giocano la carta del concept spaziale, anche se da un punto di vista decisamente peculiare (si usa il cosmo come metafora per parlare di concetti come creazione e crescita dell'uomo, usando le voci in prima persona di varie stelle e oggetti cosmici come “attori” della messinscena). Musicalmente parlando, vengono lasciate un po' da parte le suggestioni folk che spesso facevano capolino nei dischi precedenti, favorendo stavolta influenze più orientate a gothic e doom (la cadenzatissima R136a1 ne è l'esempio più lampante). Le voci sono sempre state uno dei loro punti forti, ma qui si superano: lo screaming di Marco Vitale è velenosissimo come sempre, ma stavolta la sorpresa sono le due voci pulite, che nel loro sbizzarrirsi tra una moltitudine di stili differenti arrivano a toccare anche lidi operistici, inediti in precedenza.

    -Iron griffin: altro debutto impressionante. Sembra di assistere a dei cantastorie “elettrici” che suonano in taverna accanto al fuoco, tutto ambientato in qualche romanzo heroic fantasy tipo Conan o Elric di Melnibonè. Zero frivolezze, tecnica quanto basta e tantissimo pathos, coadiuvati da una produzione decisamente vecchio stile e da un'onestà di fondo che permette di sorvolare su qualche ingenuità di troppo a livello lirico (ma si tratta comunque di epic metal, non di trattati filosofici...). Nota di estremo merito anche qui per la cantante, che con un altro po' di esperienza potrebbe fare concorrenza a un Eric Adams vista la portata sovrumana della sua ugola.

    -Ixion: che in questo decennio i temi spaziali siano diventati cari a un vasto stuolo di band è innegabile (soprattutto in ambito black), e gli Ixion non fanno eccezione alla regola. La differenza in questo caso la fa il genere preso in esame, che è una specie di death/doom estremamente atmosferico e sostenuto da strati di sintetizzatori che intessono trame sognanti. Con l'andare del tempo l'uso di questi strumenti elettronici si è affinato, fino a rendere il progetto una sorta di versione doom (e molto meno arrembante) di Mesarthim e compagnia bella. Rilassanti.

    -Jupiter: nati da una costola dei Versailles, il loro secondo album The history of genesis merita parecchio. E' vicino ai livelli più alti toccati dalla band madre e, in parte, ne prosegue il discorso riducendo leggermente la componente sinfonica, puntando ancora di più sulla potenza delle chitarre. Peccato che col terzo album abbiano iniziato a mostrare la corda.

    -Keldian: tornati inaspettatamente in grande stile con Darkness and light dopo quella mezza schifezza di Outbound. Il sound è sempre quel bel powerone sinteticissimo dei primi due album, ma meno orientato alla doppia cassa e più al riff quadrato. Speriamo che l'ispirazione duri.

    -Lunar aurora: breve ritorno di fiamma per i bavaresi che affidano il loro addio (definitivo?) alle scene a Hoagascht, disco decisamente notturno e soffuso, molto più pacato e per certi versi meditativo rispetto alle loro opere del passato, Andacht incluso. Intelligente l'idea di usare i sintetizzatori per simulare i versi di animali notturni e fonderli al contempo con le partiture dei brani. Il risultato è un sottofondo perfetto per paesaggi boschivi e invernali.

    -Lunar shadow: nel debutto Far from light sembrava di sentire i Dissection alle prese col repertorio di Dark quarterer e Warlord, e si rimaneva esterrefatti dalla facilità con qui quelle influenze si amalgamavano alla perfezione. Peccato che il secondo album sia un accrocchio confusionario (e con un nuovo cantante) che non funziona da nessun punto di vista.

    -Lustre: Wonder è un colpo di genio. Quattro note con tastierine Chicco che manco il Burzum galeotto, un paio di zanzare collegate all'amplificatore, un tizio che sospira in un microfono, una batteria di pentole per gnomi come drumkit, e si esce a diventare il disco più amato dai non metallari (ho prove empiriche di questa affermazione). La ninna nanna che ho sempre cercato.

    -Lychgate: in vita mia ho ascoltato pochi dischi stordenti come An antidote for the glass pill. Partendo dal concept (basato su “Noi” di Evgenij Zamjatin, precursore e ispirazione dichiarata del 1984 di Orwell) si intuisce che le intenzioni sono serissime, e già dalle prime note diventa chiaro che la serietà è quella di uno psicopatico armato di pessime intenzioni: organi a canne usati a mo' di mazza chiodata e impegnati in fughe forsennate con le chitarre, ritmiche impossibili, costituite dai sussulti di una mitragliatrice spastica e come ciliegina sulla torta un Greg Chandler (per chi non lo conoscesse, è “solo” il cantante degli Esoteric) schizofrenico che passa da cori stentorei a un growl da cinghiale imbufalito. L'album uscito alcuni anni dopo, The contagion in nine steps, fa una giravolta su se stesso limitando di parecchio l'uso dell'organo e dando la stura definitiva alle stramberie chitarristiche e vocali, con urla, urletti e urlacci agghiaccianti in abbondanza. Se volete farvi del male, accomodatevi: avrete pene (non penI :lookaround: ) per le vostre orecchie.

    -Mesarthim: questo misterioso duo rappresenta le estreme conseguenze di tutte le esplorazioni “cosmico/elettroniche” effettuate negli ultimi dieci anni all'interno del black metal. In soli cinque anni di attività hanno sfornato ben quattro album e una caterva di EP dove l'esplorazione spaziale in chiave musicale è stata sviscerata in tutte le direzioni (dal ”synthfonico” al quasi danzereccio, per far capire l'ampiezza dello spettro in cui si sono mossi), cambiando di pochissimo le coordinate di volta in volta, ma in una maniera tale da rendere ben percepibile la differenza col lavoro precedente e fornendo così agli ascoltatori un ventaglio sorprendentemente vasto di opzioni, pur rimanendo sempre all'interno dei confini della personalità della band. Ci vuole talento per fare una cosa del genere senza risultare noiosi, e direi che loro ne hanno a pacchi.

    -Midnight odyssey: Dis Pater è un tipo a cui piace fare le cose molto in grande. Prima tiene in piedi tre progetti in contemporanea che si occupano rispettivamente di black atmosferico (Midnight odyssey), funeral doom (Tempestuous fall) e una specie di ibrido tra darkwave e black metal (The crevices below). Con tutti e tre pubblica degli ottimi dischi, ma non gli basta. Decide quindi per una svolta radicale: chiude i battenti di tutta la baracca tranne Midnight odyssey, e fa convergere al suo interno tutte le influenze di cui sopra. Il risultato è, neanche a dirlo, mastodontico: Shards of silver fade è una dichiarazione di dominio assoluto sull' universo del black metal a tinte siderali, una manifestazione di supremazia che si palesa sia nella durata che nei contenuti. Si tratta di quasi due ore e mezza di musica densissime, senza nemmeno una nota in eccesso, in cui si esplorano tutte le possibili declinazioni del concetto di “musica delle sfere”, muovendosi all'interno di lunghissime suite e fenomenali poteri cosmici (stavolta con uno spazio vitale adeguato a contenere non il genio della lampada, ma un bell'ammasso di galassie).

    -Ne obliviscaris: se vi mancano i vecchi Opeth ma volete anche una bella dose di personalità, questi signori australiani fanno al caso vostro. Loro infatti propongono una ricetta simile a quella della band svedese, ma sostituiscono il death col black metal, e mantengono un approccio più sperimentale al lato progressivo dell'insieme, senza andare a ripescare negli anni '70. Nota di merito anche per l'uso del violino, mai invadente e sempre puntuale nel sottolineare e arricchire certi passaggi.

    -Orden ogan: Easton hope e To the end sono serviti a confermarli come uno dei migliori “giovani” esponenti del power tedesco, figliocci dei Blind guardian da una parte e di tutto il metal con una certa “potenza” alla base (non mancano anche gli omaggi voluti: se ascoltate la title track di To the end, la seconda parte dell'assolo è molto simile a quella di un assolo presente in una canzone molto famosa contenuta in un disco molto famoso di un chitarrista/cantante pel di carota...). Concordo, anche se i successivi lavori mi son piaciuti molto meno.

    -Ottone pesante: fan più casino loro tre con batteria, tromba e trombone che i Manowar con tutti i loro decibel. Il debutto è servito a dimostrare che anche l'ottone è un Vero Metallo (e che loro conoscono la materia in questione a menadito), mentre il secondo Apocalips ha spiegato al mondo come dei bravi fabbri reinventano la materia di cui sopra. E siamo solo all'inizio.

    -Pagan altar: con The room of shadows il grandissimo Terry Jones saluta questo mondo, nel migliore dei modi. Si tratta di un album che, al netto di un paio di “omaggi” di troppo (tipo quello ai Kansas...) e della mania del figlio di strafare, risulta essere il loro miglior lavoro dai tempi ancestrali del debutto. Gruppo dal sound unico (una strana mistura di NWOBHM e doom primordiale) e purtroppo senza eredi degni di nota.

    -Pensées nocturnes: che questi francesi non fossero proprio a posto lo si era già capito coi primi album, ma con Nom d'une pipe! han fatto il grande salto. Carpiato, con doppio avvitamento e atterraggio dritto dritto in una piscina piena di chiodi, in totale spregio della propria sicurezza e di quella dell'ascoltatore. Qui siamo davanti a un sincretismo totale, che ballonzola etilicamente tra black metal, cabaret da osteria, jazz, canzonette e canzonacce, reggae e tutte le stramberie da circo dei freak che vi possiate immaginare. Il fatto è che questa formula gli è piaciuta talmente tanto da non essere in seguito riusciti a schiodarsi da essa.

    -Porta nigra: Kaiserschnitt è il disco che il caro vecchio trichecone Otto von Bismarck avrebbe voluto ascoltare a ripetizione se fosse stato vivo ai giorni nostri, tra un cannoneggiamento e l'altro. Qui dentro si sente puzza di Prussia e sangue da lontano un miglio, tra mitragliatrici che si fondono con la batteria (una tamarrata degna dei Marduk), inni al letale Potere della Passera (Femme fatale) e alla 'gnuranza dell'universitario medio nella Crucconia di quel periodo (Mensur). Non solo black metal, ma anche tonnellate di metal classico, inserti di ottoni che fanno tanto vintage, cori da soldati avvinazzati in libera uscita e un atteggiamento ritmico più quadrato di un plotone in marcia.

    -Progenie terrestre pura: U.M.A è da considerare uno degli iniziatori, volontari o meno (insieme a Wish di Germ, Midnight odyssey e Darkspace), della deriva cosmico/elettronica presa da certo black metal nella seconda parte del decennio. Peccato che già dall'album successivo tutto sia degradato in un industrial/black con sempre minor personalità, e l'atmosfera unica presente sul debutto sia stata sacrificata in favore dell'impatto frontale.

    -Quercus: a questi tizi non basta che il funeral doom sia uno dei generi più inaccessibili. Loro si sono sentiti in dovere di trattare il (sotto) genere in questione come un campo da gioco per sperimentazioni bislacche che svarionano tra lo psichedelico/alticcio in Sfumato e nell' organistico/ArvoPartiano in Heart with bread. Voglio dire, sti svalvolati han pure tirato fuori un brano che potrebbe fregiarsi dell'epiteto “happy doom metal”. La droga scorre potente in loro.

    -Rammstein: che je voi di' a sti qua? Niente! Non puoi! Perchè loro dopo più di dieci anni di relativo silenzio tornano col solito stile da “penicottero in piazza San Pietro” a percuoterci i padiglioni auricolari a colpi di zozzaggini tetesche fino al midollo, che partono dalla storia di amore dolceamaro verso la loro madrepatria (Deutschland), passano per i vantaggi linguistici dei puttantour paneuropei (Auslander), i radiofonismi chitarronescamente danzerecci (Radio), i richiami al passato remoto (Zeig dich e Tattoo che sembrano uscite da Herzeleid) e infine approdano all' isola del Vastissimo Membro di Attilio e le sue Poderose Palle, esibite con ardire e corde vocali sbudellate nella terrificante Puppe. Ripeto: che je voi di?

    -Rhapsody of fire: The frozen tears of angels è un mezzo capolavoro che riparte da Power of the dragonflame per concluderne il discorso e From chaos to eternity lo considero il canto del cigno dei veri Rhapsody. Tutto ciò che è successo dopo va dall'imbarazzante all'appena sufficiente, sia dal punto di vista musicale che da quello extra.

    -Sabaton: Coat of arms è un gran bell'album, seguito ideale di The art of war in tutto e per tutto (tranne che per l'idea del concept, stavolta non legato a Sun-Tzu). Poi han deciso di darsi al riciclaggio selvaggio di se stessi, e ne sono uscite cose quasi completamente vomitevoli (salvo alcuni sprazzi di Carolus rex e Heroes).

    -Skepticism: siamo alle solite. I quattro finlandesi non solo ci mettono la solita era geologica per partorire un nuovo disco, ma, come al solito, lo fanno con una classe che supera di parecchio quella di molti loro colleghi. Il sound è cambiato nuovamente (anche se in maniera tale da non sconvolgere la loro personalità), sviluppandosi direttamente da quanto proposto su Alloy. Su Ordeal ci sono molte più aperture melodiche che in passato e ritmi leggerissimamente più serrati, ma soprattutto a colpire è la presenza di diversi assoli, che in passato erano ben più che rari. Inoltre c'è un plot twist: questo disco è stato registrato totalmente dal vivo, non come live in studio (quindi con un ambiente controllato), ma come nu vero e proprio live album, con tanto di pubblico plaudente, e l'esecuzione da parte di tutti (turnista aggiuntivo alle chitarre incluso) è perfetta a dir poco.

    -Spectral lore: Ayloss è uno di quei personaggi capaci di modellare il caos a suo piacimento, facendogli prendere qualsiasi forma voglia. L'esempio migliore delle sue capacità è III, quarto (?) album della sua creatura Spectral lore. Si viene continuamente schiaffeggiati da turbini di linee di chitarra intrecciate, ognuna che recita la sua melodia (non siamo in territori “deathspellomeghiani”) come in una specie di astruso contrappunto, volto al raggiungimento di un climax in cui tutte queste differenti ondate di musica convergono formando una vera e propria supernova di note, per poi pian piano calmarsi e disperdersi in una nebulosa fatta di suoni spaziali e sonorità oltre il confine dell'ambient più rilassata. Un saliscendi emotivo e strumentale che merita gran considerazione.

    -Summoning: Old mornings dawn mi è sempre sembrato un disco fiacchissimo, quindi in teoria With doom we come (composto dagli “scarti” rimasti dalle registrazioni del primo) avrebbe dovuto farmi un effetto ancora peggiore...invece è andata al contrario: lo ritengo il loro miglior lavoro dai tempi di Let mortal heroes sing your fame, visto che l'osannatissimo Oath bound è soltanto un contorno che vive della gloria riflessa di Land of the dead. E a proposito, qui son quasi riusciti, con Silvertine, a raggiungere l'empireo toccato con quella canzone. Diciamo che quel piccolo passo che manca per raggiungere la divinità è stato ben distribuito tra gli altri brani, in particolare Mirklands ed Herumor.

    -Taranis: Attila Bakos, la mente dietro questa one man band , non è altro che l'ex cantante a gettone dei Thy catafalque. Chi conosce la band in questione avrà ben presenti le sue capacità vocali, che nell'album Kingdom vencono messe al servizio di un black metal sinfonico molto melodico ma mai dedito ad eccessi. La particolarità della proposta sta proprio nel perfetto equilibrio tra parti tiratissime con chitarre furiose e sezioni più tranquille e introspettive. L'uso di tastiere e orchestrazioni, pur sempre presente, non prende mai il sopravvento in maniera invadente, ma serve da sfondo alla performance vocale del cantante, come al solito eccellente (ottimo anche il growl che non usava coi Thy catafalque).

    -Temple of gnosis: più che doom, il sound contenuto nell'unico full lenght “De mysteriis naturae alchymica” potrebbe essere definito come la colonna sonora di un documentario ritraente qualche oscuro rituale esoterico, vista l'abbondanza di recitati distorti, l'atmosfera plumbea e catacombale dovuta ai sintetizzatori e la totale mancanza di strutture che possano far pensare a canzoni vere e proprie. Il risultato finale è emotivamente molto vicino alla proposta degli Shadowseeds di Thomas Karlsson (l'autore dei testi dei Therion), anche se questi ultimi erano molto più vicini a lidi black.

    -The foreshadowing: Second world rappresenta il disco della maturazione definitiva per il sestetto romano, che, dopo la tristezza intimista del debutto e l'ansia da fine del mondo incombente di Oionos si butta a capofitto in scenari post apocalittici. La protagonista è sempre la voce di Marco Benevento, che si appoggia su un lavoro di chitarra più variegato che in precedenza, con diverse concessioni agli assoli (che prenderanno ancora maggior piede nel successivo Seven heads ten horns), e su un lavoro di tastiere sempre più centrale nel conferire una patina di ulteriore disperazione alle storie di un'umanità sconfitta narrate nei brani. Nota di merito per l'uso saltuario dei canti gregoriani (eh, si, sono un disco rotto).

    -The human abstract: Digital veil (a tutt'oggi il loro ultimo album) è la risposta alla domanda “cosa sarebbe successo se Bach avesse suonato metalcore”. Il sogno bagnato di Malmsteen, ma coi breakdown nel mezzo e ritmiche spezzettate che a volte sconfinano nel djent, ma senza chitarre a otto corde. Fuori di testa, e lo intendo come complimento, tra l'altro da parte di uno che solitamente non va affatto d'accordo col genere.

    -Trees of eternity: Hour of the nightingale è uno di quei casi in cui la tristezza e i sentimenti legati al trapasso sono presenze legittime in tutto e per tutto, visto che la tragedia in questione si è svolta durante la realizzazione dell'album stesso ed è terminata con la dipartita della cantante Aleah Stanbridge a causa del cancro pochi mesi prima della pubblicazione dell'album. La base su cui questo disco è costruito sono per forza di cose gli Swallow the sun (visto che il compagno di Aleah nonché compositore principale è anche il mastermind dei finlandesi), ma rivisti se possibile in chiave ancor più “grigia”. Il quid in più è dato dalla meravigliosa voce di Aleah, totalmente estranea a qualsiasi stereotipo metallico, al punto da essere spesso quasi sussurrata, riuscendo così ad ammantare i brani di un'ulteriore coltre di rassegnazione. Il miglior epitaffio per un'artista mancata troppo presto.

    -Tyranny: loro esistono per ricordarci che Yog-Sothoth è l'unica risposta che l'universo si merita, ed Aeons in tectonic interment è soltanto il secondo capitolo della suddetta risposta. L'unica cosa che si può dire di fronte agli abissi di growl e chitarre urlanti partoriti da questi foschi psicopompi è un liberatorio FTAGHN!, all'indirizzo di quegli shoggoth miscredenti che non piangono fetenti lacrime di icore all'ascolto di una meravigliosa bestialità come The bells of the black basilica. PH'NGLUI a voi e famiglie.

    -Urfaust: in questo decennio i due noti etilisti olandesi si son dati da fare per evolvere la loro band. Se i primi due album erano una perfetta dimostrazione di come si potesse essere interessanti e originali anche con una produzione degna di un letamaio e basandosi su un minimalismo assoluto a livello compositivo, negli anni '10 han cambiato strada. Die freiwillige bettler ce li ha ripresentati con un sound un po' più strutturato e una produzione più corposa; Empty space meditation è riuscito finalmente ad amalgamare come si deve le due anime della band (il lato metallico e quello ambient), che prima erano quasi completamente slegati; Infine The constellatory practice è riuscito a darci il loro album definitivo, dove ai soliti ingredienti si viene ad aggiungere anche una sezione di archi nel capolavoro Trail of the conscience of the dead, un pezzo che definirei iconico per loro.

    -Vektor: Terminal redux è la pietra filosofale. Una faccenda talmente avanti da sembrare “La masquerade infernale” del thrash, proprio perchè, come il disco degli Arcturus decideva di trasmutare il black metal in qualcosa di totalmente diverso, così in questo lavoro il thrash è solo un punto di partenza per lo spazio più profondo e inesplorato. Mannaggia alla testaccia maledetta di DiSanto che probabilmente ci ha privato a tempo indeterminato di nuovi viaggi interstellari a bordo di questa strabiliante astronave.

    -Virus: The agent that shapes the desert ha quel certo non-so-che che ti fa sentire l'impellente bisogno di bere un paio di litri d'acqua ogni 3 minuti circa...una secchezza delle fauci la cui origine è collocabile tra l'eccessivo consumo di funghetti allucinogeni e i miraggi desertici creati dalle ondeggianti note partorite dai polmoni e dalle corde di Czral. Il seguente Memento collider era quasi altrettanto interessante, peccato che ha segnato la fine di questo progetto (anche se la diretta conseguenza è stata la resurrezione dei Ved buens ende...).

    -Voivod: con loro ho sempre fatto una grandissima fatica, devo ammetterlo. Pur apprezzando la loro ricetta, essa ha sempre finito per risultarmi un filino troppo indigesta. Questo fino a The wake, dove per la prima volta sono riuscito a gustarmi il piatto fino in fondo e, anzi, a farmene una scorpacciata. Sarà forse stato per l'aspetto più “cinematografico” del solito (nulla a che fare con gli strombazzamenti Rhapsodyani, non abbiate paura) o per le sporadiche orchestrazioni a contorno. Oppure anche perchè il lavoro di chitarra, pur intricato e schizzatissimo come da tradizione, ha un misterioso “qualcosa” che lo rende anche memorabile. Un po' come un bel film di fantascienza, insomma.

    -Versailles: Jubilee è un ottimo disco, l'ultimo omonimo è carino ma un po' frettoloso. Holy grail, posto in mezzo a questi due, lo considero semplicemente come il miglior album power di sempre (persone facili allo scandalizzarsi astenersi) assieme a Nightfall in Middle-Earth. Quando apri con la doppietta Masquerade-Philia, prosegui facendoti beffe di Paganini con Flowery e soprattutto concludi con un mastodonte da lacrime come Faith & Decision (era da Art of life che dal Giappone non veniva partorita una cosa del genere), meriti tutti gli allori possibili, anche se ti conci come Lady Oscar.

    -Warlord: era da millenni che mr. Tsamis non sfornava nulla di interessante (Rising out from the ashes era per metà un disco di cover dei Lordian guard), e direi che con il meraviglioso The holy empire la sete di nuova musica da parte dei suoi fan si possa dire soddisfatta...però adesso speriamo che la smetta con pubblicazioni di compilation casuali e si rimetta a scrivere.

    -While heaven wept: Fear of infinity si può forse considerare come l'apice compositivo della band, che torna a ripescare, almeno in parte, il lato più vicino al doom della loro proposta, senza disdegnare capatine al di fuori della loro comfort zone (si veda ad esempio la parte in blast beat dell'iniziale Hour of reprisal). Ciò che si nota a “colpo d'orecchio” è che rispetto al precedente Vast oceans lachrymose è stato dato molto più spazio alle tastiere, mentre le chitarre lavorano molto di più sui riff, relegando gli assoli in secondo piano. Per una volta, direi tanto di guadagnato, visto che a giovarne è il sound, che assume un aspetto estremamente maestoso e imponente, senza per questo scadere nel pacchiano.

    -Wyrding: questa band, nel suo unico album omonimo, ha preso il funeral doom e lo ha “stirato” talmente tanto da renderlo qualcosa di lontanissimo dalla sua origine, al punto che considerarlo metal in tutto e per tutto potrebbe essere quasi una forzatura. Immaginatevi qualcosa di simile agli Ulver di Shadows of the sun, ma infinitamente meno cupi (anzi, a volte le melodie tendono verso sensazioni più positive che tristi o malinconiche) e con tutto il comparto ritmico al proprio posto e ancorato agli andazzi tipici del doom più lento. Aggiungete delle chitarre lontane e più impegnate a delineare melodie che si confondono con le tastiere che a creare riff veri e propri, e avrete come risultato il loro sound. Un insieme soffuso e nebbioso, ma con un'identità ben precisa che richiede un certo tempo per mostrarsi.
     
    #29
    Ultima modifica: 29 Gennaio 2020
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  15. Barney Panofsky

    Barney Panofsky
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    29 Gennaio 2020

    C'è anche il bignami?
     
    #30

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