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Discussione in 'Attualità e Cultura' iniziata da alexmai, 24 Ottobre 2024.

  1. Quintus Horatius

    Quintus Horatius
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    26 Ottobre 2024

    Poiché la democrazia nasce a uso e consumo del modo di produzione che ne ha promosso l'affermazione, non ci si può aspettare una gestione oculata delle risorse, neppure ai livelli più basilari.
    In un'ottica riformista -ovviamente non la mia- basterebbe strutturare un sistema di tassazione realmente, e fortemente, progressiva per non scatenare orde di medici a informarsi sullo stato di salute di ottantenni sfruttati per cinquant'anni e non alimentare l'acrimonia, del tutto ingiustificata, verso coloro i quali hanno versato meno contributi o percepiscono sussidi di invalidità.
    Inutile specificare che la sacralità dei profitti non viene messa in discussione durante le fasi caratterizzate dalla pace sociale e che perfino il più insignificante aumento si strappa esercitando una pressione dal basso, mentre l'ingegneria gestionale e le astruse strategie fiscali conducono in un vicolo cieco o, nella migliore delle ipotesi, mantengono inalterata la situazione.
     
    #16
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  2. the Fierce

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    26 Ottobre 2024

    Qui da noi però, perchè invece in altri paesi però sono capaci, ma una possibile soluzione la dai già appena sotto
     
    #17
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  3. Quintus Horatius

    Quintus Horatius
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    27 Ottobre 2024

    Poiché ne abbiamo discusso a lungo, conosci già la mia posizione in merito alla subordinazione del sistema democratico al capitale, che del resto lo ha plasmato.
    Anche nelle socialdemocrazie dell'Europa del nord, in cui la peculiare storia del sistema produttivo ha dato esiti lievemente differenti, ai lavoratori vengono redistribuite, sotto forma di pensioni e servizi, percentuali infinitesimali del valore e del tempo estorti in una vita. A noi sembra un risultato mirabolante solo perché veniamo da cinquant'anni di bonaccia sociale e ci hanno addestrato, come tanti cani pavloviani, a schiumare di rabbia a comando davanti a bersagli collocati ad arte nel centro del mirrino, ad esempio gli immigrati, i percettori di sussidi (o di pensione minima) etc.
     
    #18
  4. the Fierce

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    27 Ottobre 2024

    è relativamente vero: sembra mirabolante da noi, perchè paghiamo un sacco di tasse, poi servizi e previdenza non funzionano. Dove invece il sistema funziona, e non sono paesi da fantascienza, la gente è contenta di pagare una quantità congrua di tasse per un sistema statale efficiente, di conseguenza non c'è questa grande sproporzione tra il quello che si versa in termini di tempo e soldi e ciò che si riceve indietro.

    è relativo: i meccanismi che descrivi e che portano di fatto a quella che viene definita "guerra tra poveri" non sono una costante nella popolazione italiana. Però è innegabile che il problema esista
     
    #19
  5. Quintus Horatius

    Quintus Horatius
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    28 Ottobre 2024

    A causa della prima affermazione, rischiamo di precipitare nel baratro di un confronto lungo quanto quello in cui ci misurammo tempo fa.
    Affinché il "pericolo" sia scongiurato, ti ricordo che, riallacciandomi a una precisa tradizione di critica dell'economia politica, per me l'intera ricchezza sociale deriva dal furto di tempo, forze, felicità e vita ai danni dei salariati del globo. Non sono certo sufficienti quattro servizi essenziali (e non basterebbero neppure se ammontassero a cento) per colmare una sproporzione che suonerebbe eufemistico definire gargantuesca e che riflette la radice di ogni aspetto economico, sociale, ideologico.
    Tanto da noi quanto nelle democrazie nordeuropee, i profitti non vengono veramente minacciati e si elargiscono le briciole delle briciole. Logico che, a parità di esistenze orripilanti, qualche sussidio e servizio in più non guasterebbero. Per rafforzare lo stato sociale, non si deve aspettare un'elemosina dall'alto, bensì, come ho già scritto parecchie volte, esercitare una forte pressione dialettica, motore di ogni conquista nella storia. Ora come ora, non si muove quasi nulla, purtroppo.
    Per quanto concerne il secondo tema, indicavo una tendenza generale, senza mettere in dubbio l'esistenza di qualche voce non allineata. A che cosa si riduce, tuttavia, questo "spirito critico"? A un timido contorsionismo di riforme e proposte, di fatto non in grado di incidere in modo significativo sulla realtà. Da un lato, dunque, la caccia al capro espiatorio di turno, dall'altro, i corifei inconsapevoli dello status quo.
     
    #20
    Ultima modifica: 28 Ottobre 2024
  6. the Fierce

    the Fierce
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    29 Ottobre 2024

    come dissi all'epoca, filosoficamente sono pure d'accordo, ma all'atto pratico, quanto auspicato è poco realizzabile.

    Sul resto in parte sono d'accordo, in parte no: primo perchè la situazione dei diritti non è quella dell'800 dell'Inghilterra della rivoluzione industriale, in seconda battuta perchè se è oggettivamente vero che a livello previdenziale con la pensione prendi molto meno di quanto hai messo via, è anche vero che anche con un sistema tributario diverso (es: flat tax per tutti), il costo di certi servizi (es: sanitario per le grosse malattie o una situazione di non autosufficienza) ammazzerebbe i risparmi di quasi chiunque.

    Sul resto condivido, ma se riforme e proposte sono timide e spesso di relativa utilità, non dipenda "dal sistema", ma direttamente dalla classe dirigente
     
    #21
  7. Quintus Horatius

    Quintus Horatius
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    29 Ottobre 2024

    Se ti riferisci a un rivolgimento radicale, lascerei alla storia l'ultima parola sulla realizzabilità di un processo lungo, complesso e costellato di difficoltà e battute di arresto. Al momento, banale asserirlo, non si profila all'orizzonte nulla di paragonabile; attraversiamo, al contrario, una fase definibile, attingendo da un glossario tecnico (ma i termini non hanno rilevanza, basta capirsi), di ricomposizione che, salvo crolli improvvisi, richiederà tempo anche solo per giungere a un assestamento.
    Per il resto, non vedo niente di più pratico di un'analisi storica e sociale delle condizioni che hanno fatto guadagnare terreno, in termini di conquiste e di, conseguenti, riforme, ai salariati nelle varie aree geografiche e nelle specifiche realtà produttive in cui agivano e agiscono, tutte accomunate dalla stessa matrice. Ad ogni latitudine e longitudine, non si sono mai originati decreti dal nulla, ma sempre in seguito a scontri, più o meno aspri, tra le classi.
    Se, come giustamente rilevi tu, i diritti non sono equiparabili a quelli degli operai dell'ottocento, si deve alle lotte di chi ci ha preceduto. Perfino la messa a punto, nelle aree urbane popolari, di acquedotti e di sistemi di canali di scolo efficienti va annoverata tra le vittorie dei salariati di allora.
    Tuttavia, dare per scontato un equilibrio, una volta raggiunto, non tiene conto dei continui mutamenti della condizioni materiali, scosse da attriti e perenni attacchi mossi da chi ha più peso nella gestione del mondo produttivo e ideologico. In Italia, per esempio, dopo il sipario calato sulla stagione gloriosa dei sessanta e settanta, si registra un arretramento costante, con i salari fermi agli anni novanta, lo smantellamento progressivo dei CCNL, la riduzione dei fondi destinati ai servizi sociali etc. Riforme o no, privata della pressione dal basso, la bilancia pende inesorabilmente da una parte.
    La tua terza e ultima considerazione, invece, porta di nuovo nel centro della scena il punto nodale su cui ci siamo confrontati per settimane: per me, l'architettura politica e sociale esprime appieno gli interessi della forza produttiva che l'ha creata e modellata; per te, esiste una sorta di potere neutro, con qualche problema ma sempre perfettibile da chi lo esercita, che si prodiga per rendere più armoniose e giuste le vite di chi si pone sotto la sua egida. Empiricamente, non ho mai assistito -di persona o gettando un'occhiata attenta alla storia- a un vero tentativo da parte di questo potere di rendere realmente equo il modello sociale né di metterne in discussione davvero le basi. In fin dei conti, tanto a Keynes quanto alla scuola di Chicago importa solo che gli ingranaggi restino ben oliati, non si inceppi la catena e la macchina continui a funzionare bene . Già solo questo "piccolo particolare", l'intoccabilità dei fondamenti economici su cui poggia tutto, dovrebbe quanto meno insospettire i sostenitori del potere neutro.
     
    #22
  8. Riky

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    29 Ottobre 2024

    Un grafico abbastanza esplicativo del problema dei lavoratori attivi.

    x.com
     
    #23
  9. alexmai

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    30 Ottobre 2024

    Inquietante ma credibile...

    [​IMG]
     
    #24
  10. the Fierce

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    30 Ottobre 2024

    dipende da cosa intendi per "radicale". Partendo da uno dei primi assunti "l'intera ricchezza sociale deriva dal furto di tempo, forze, felicità e vita ai danni dei salariati del globo", personalmente la vedo difficile, anche nel futuro, che la ricchezza sociale non derivi dagli elementi riportati.
    Tuttavia penso anche che la ricchezza sociale possa derivare da questi elementi spesi "nella giusta misura" e con la giusta proporzionalità per tutti i consociati, ma qua siamo ancora lontani.
    Sul resto, personalmente condivido.

    Una precisazione: non credo che ci sia un potere neutro, anche perchè, come giustamente riportato, i diritti e la loro prevalenza sono frutto di un bilanciamento di interessi. Penso che, almeno in Europa, ci sia un'ottima di base di tutele costituzionali che non ascriverei in maniera così netta agli interessi dei più abbienti.
    Non penso che il sistema sia fatto e tagliato a misura di "potere forte" (passami il termine), però senza dubbio negli ultimi decenni questo ha guadagnato terreno a scapito dei più fragili dal punto di vista economico, sociale e lavorativo e quanto ottenuto deve essere difeso con tenacia.
     
    #25
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  11. Quintus Horatius

    Quintus Horatius
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    3 Novembre 2024

    Per "radicale" intendo un rivolgimento totale del paradigma, altrimenti si perpetua un modello identico nella sostanza e solo abbellito nella forma. La posta in gioco assume proporzioni ben più vaste di qualche legge in materia di previdenza sociale o di un rafforzamento degli ammortizzatori. Benché senz'altro auspicabile rispetto alle macerie attuali, un nuovo ciclo di keynesismo non risolverebbe nulla e preluderebbe, la storia insegna, all'avvento di un altro Friedman: per intrinseca natura l'economia capitalista, animata da fame perenne di espansione, non può essere ammaestrata da un pacchetto di riforme.
    Nel futuro, chissà: come dico sempre, un nobile ben pasciuto e mollemente adagiato sulla sua poltrona ad ascoltare un minuetto non avrebbe mai immaginato che il borghese da lui dileggiato gli avrebbe fatto rimpiangere amaramente quei momenti.
    Giusto per ripetermi un'ultima volta (poi smetto, giuro), le tutele sociali minime sono state inserite nelle costituzioni europee perché le classi dirigenti sentivano il fiato sul collo delle torme operaie determinate e arrabbiate. Senza questa forza, il sistema economico guadagnerà sempre più terreno.
    Poiché abbiamo, credo, enucleato la questione fino in fondo e ripeteremmo solo quanto scritto finora, chiuderei i miei modesti contributi con una citazione collegata -più di quanto sembri- al discorso su presente e futuro, in quanto la concezione delle fasi storiche nella loro presunta immobilità ed eterna dilatazione è parte integrante del sistema ideologico contemporaneo:

    Con lo sviluppo del capitalismo, il tempo irreversibile è mondialmente unificato. La storia
    universale diviene una realtà, perché il mondo intero è raccolto sotto lo sviluppo di questo tempo.
    Ma questa storia che è la stessa contemporaneamente dappertutto, non è ancora che il rifiuto
    infrastorico della storia. E' il tempo della produzione economica, ritagliata in frammenti astratti
    uguali, che si manifesta su tutto il pianeta come lo stesso giorno. Il tempo irreversibile unificato è
    quello del mercato mondiale, corollario dello spettacolo mondiale.
    Il tempo irreversibile della produzione è anzitutto la misura delle merci. Così dunque il tempo
    che si afferma ufficialmente nello spazio mondiale come il tempo generale della società,
    manifestando solo gli interessi specializzati che lo costituiscono, non è che un tempo particolare.
     
    #26
  12. the Fierce

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    4 Novembre 2024

    dipende da come viene gestito il pacchetto di riforme. Per come la vedo io, sarebbero efficacissime, se lo Stato facesse lo Stato, esercitando il suo prerogativo potere autoritario per il benessere di tutti e non solo di pochi privilegiati.
    Il problema è che l'economia capitalista, ad oggi, non funziona: sì, si potrà continuare a tirare il collo ai più indifesi, ma il numero degli indifesi aumenta sempre più e, alla lunga, anche volendo rimarrà poco o nulla da spremere.


    su questo, stimato collega, non sono completamente d'accordo.
    condivido il fatto che sia necessario mantenere una certa tensione e "far sentire il fiato sul collo", come dici, perchè altrimenti come si è visto perdere terreno è un attimo, però una costituzione come la nostra, storicamente, non è figlia di una concessione delle classi dirigenti. Anzi, probabilmente quello è stato uno dei pochissimo momenti della storia dell'Italia unita in cui si è veramente legiferato come si doveva, tirando fuori un atto legislativo a regola d'arte.
     
    #27
  13. Quintus Horatius

    Quintus Horatius
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    18 Novembre 2024

    Lo Stato fa esattamente lo Stato, cioè la diretta emanazione organizzativa, giuridica e amministrativa del soggetto storico e sociale che l'ha ideato a sua immagine e somiglianza, la borghesia.

    La costituzione italiana nacque come compromesso tra le forze politiche di maggior rilievo nello scenario postbellico, a loro volta espressione dei segmenti sociali del paese, con la Balena Bianca a tutelare gli interessi di grande, media e piccola borghesia, il PSI e, soprattutto, il PCI togliattiano a rappresentare - a parole, perché nei fatti il batrace immondo mirava, dietro precise direttive moscovite, a rafforzare l'ordinamento democratico e a conquistarsi un angolo di potere- i salariati.
    Prefigurata dalla svolta di Salerno, la costituzione può essere ascritta tranquillamente alle concessioni delle classi dirigenti, in quell'occasione libere anche da pressioni dirette, dato che Togliatti gettò sul tavolo delle trattative la non belligeranza della gran parte dei lavoratori, che, inebetiti da vent'anni di stalinismo e prostrati dal conflitto, pendevano dalle sue labbra.
     
    #28
  14. the Fierce

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    22 Novembre 2024

    opinabile, imho, per diverse ragioni:
    1. si può usare il termine "borghesia", ma ad oggi comprenderebbe soggetti che avrebbero istanze politiche piuttosto variegate.
    2. Gli ordinamenti, e conseguentemente i diritti, all'atto pratico funzionano sul bilanciamento di interessi contrapposti e la conseguente prevalenza di uno sull'altro. Contemporamente, uno stato di diritto ricerca il soddisfacimento dei diritti di tutti i gruppi sociali, attraverso il meccanismo di mediazione menzionato. Quindi, sì, possiamo dire che lo stato di diritto attuale è un'emanazione della borghesia, ma non nasce per tutelare unicamente gli interessi borghesi.
    3. La Costituzione italiana nasce come compromesso, come è normale che sia, tra tutti quelli che non erano fascisti, fondamentalmente e, come ricordato pochi giorni fa da Bersani, è una costituzione che ci siamo dati da soli, non ci è stata imposta.
      Dicevamo, nasce come compromesso perchè, come detto poc'anzi, nello Stato devono essere rappresentati tutti, non solo i salariati, o solo i capitani di industria, o solo i borghesi e, a livello Costituzionale, le tutele ci sono e vanno bene così. Il problema magari si pone con la legislazione ordinaria perchè una carta costituzionale può limitarsi ai principi fondamentali (e non è poco), poi le singole materie vengono disciplinate dalle leggi ordinarie e la cosa diventa molto più politica.
      Discutibile poi che la Costituzione sia una banale concessione delle classi dirigenti, se consideriamo l'importanza che viene data al lavoro e ai diritti sindacali. Per dire, la Costituzione americana è molto più "dirigenti-friendly" della nostra.
     
    #29
  15. Quintus Horatius

    Quintus Horatius
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    5 Dicembre 2024

    Nella sostanza, la borghesia, regge il mondo ancora oggi, al di là di piccole mutazioni sociologiche più o meno evidenti. Errato considerare i corpi sociali granitici e mai scossi da frizioni interne, sebbene, oltre ogni ogni immaginabile contrasto, lo scopo di fondo accomuni tutti i suoi membri e le diverse vesti politiche si indossino solo per obiettivi a breve o a medio termine.
    Se uno stato di diritto inteso nel senso oggi in uso ricercasse il reale soddisfacimento di tutti i suoi gruppi sociali, non potrebbe reggersi sullo sfruttamento di lavoro vivo dal quale sono alimentati tutti i gangli dell'economia e non potrebbe svolgere la sua funzione di cane da guardia di una continua e incontrovertibile operazione di saccheggio. Purtroppo, le riflessioni di carattere giuridico si tingono sempre un po' di metafisica, trascurando del tutto il nesso tra interessi materiali e organizzazione legislativa. Torniamo sempre lì: lungi dal far parte in modo organico o ontologico del sistema democratico liberale, le tutele scaturiscono dal braccio di ferro e dal crescente peso guadagnato dalle associazioni dei lavoratori nel corso dei decenni. Da un certo punto di vista, inoltre, i decreti in materia di politiche sociali fungono da garanzia in determinati periodi storici anche al ruolo della classe al comando, in quanto le permettono di disarticolare livelli poco controllabili di scontro attraverso piccole concessioni. La storia, anche abbastanza recente, pullula di esempi del genere.
    La nostra costituzione contiene tratti più - tiepidamente- orientati verso le istanze sociali perché rispecchia gli equilibri sorti alla fine del conflitto, con un PCI totalmente prono da decenni alle politiche sovietiche e proprio per questo capace di esercitare un'influenza nell'assemblea (oltre al già ricordato compito di rappresentare, sebbene malamente, le pressioni della classe dei salariati) pari, mutatis mutandis, a quella che il baffone esercitò a Yalta. La costituzione, quindi, va letta come una sorta di atlante del paesaggio politico di allora e il suo scopo era riunire in un compromesso su scala ridotta le forze vincitrici e ricostruire una democrazia liberale nella quale ciascuna fazione politica e sociale si ricavasse un cantuccio. A tal proposito, consultando gli scritti pubblici di Togliatti del periodo, si evince proprio l'intenzione (concretizzata in una serie di interventi volti a rafforzare lo stato italiano e non certo a farlo vacillare).
    Infine, il "va bene così" dipende molto , a mio parere, da quale posto occupi nella catena, perché in sostanza tutto preserva lo status quo e non lo minaccia mai neanche di sfuggita.
     
    #30

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