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Globalizzazione? Autarchia? Decrescita felice?

Discussione in 'Attualità e Cultura' iniziata da HeadlessChild, 28 Dicembre 2008.

  1. HeadlessChild

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    28 Dicembre 2008

    Vorrei qui provare a discutere quello che potrebbe delinearsi come l'unico grande "scontro di idee" del nostro tempo.
    Il mondo oramai è (quasi) globale, e ci sono paesi che è possibile che, nel mediolungotermine, superino l'occidente con le sue stesse armi.

    Per quanto mi riguarda inizio a covare il sospetto che le "tradizionali" divisioni parlamentari non rendano conto della reale alternativa ad oggi. Inizio a pensare che ci siano solo due strade: da un lato quella verso una globalizzazione "definitiva", dall'alltra verso un volontario ritorno al passato, ma in chiave moderna.

    Globalizzazione definitiva significa accettare l'assunto della competizione. Significa far proprio l'ideale liberale e le sue regole. Oggi non possiamo più vivere con stati sociali come quelli degli anni 70/80, accettabili solo finché la ricchezza era concentrata in pochissime mani. Ci sono realtà ineluttabili, quali ad esempio la flessibilità del lavoro, ed in generale un grado maggiore di incertezza.
    Vantaggi? Indicibili. Se si trovano soluzioni intelligenti ed innovative lo stato di benessere a cui si può aspirare è un benessere mai visto prima nella storia. Esclusa l'area diciamo "mediterranea" (ma nemmeno troppo), l'Europa tra alti e bassi divide una ricchezza mai vista prima. Ve li ricordate i tempi in cui quando c'era crisi la gente moriva di fame? Certo che no... in moltissimi paesi europei c'è una redistribuzione di ricchezza verso le classi basse mai vista prima nella storia. Se c'è tantissimo, qualcosa se si vuole c'è per tutti.
    Ma i vantaggi non sono solo economici.. c'è anche un ideale etico. C'è l'immensa quantità di sapere a disposizione, c'è il poter andare a Valencia o in Marocco con 5 euro in ryanair, il poter chattare con un cinese, il poter accedere a cure nate dalla collaborazione di ricercatori di diverse nazioni, il poter scegliere tra i beni che costano meno e servono (o piacciono) di più, il poter ascoltare musica Tedesca allo stesso prezzo di quella Italiana, c'è il sogno che un giorno l'umanità sia un'unica grande famiglia, ecc...
    Svantaggi? Ci sono dei rischi enormi. Ci sono dei rischi con delle responsabilità dietro.. e mi riferisco per esempio a quei paesi che non sanno provvedere ad un adeguato stato sociale pur in presenza di un PIL pro capite di tutto rispetto; questo significa che c'è gente che vive ai margini. Mi riferisco a quei paesi dove l'orario di lavoro è diventato "dalla sveglia a quando si va a dormire".. ed uno si chiede a che diavolo serve allora la ricchezza. Mi riferisco all'ipotesi che se la flessibilità non funziona alla meglio (rischio che corriamo in Italia, rischio che non si corre in scandinavia o asutralia dove ci sono redditi di cittadinanza della madonna, rischio che in parte non si correVA in USA ed UK finché il mercato del lavoro era talmente prospero che per un posto perso se ne trovavano due nuovi) e diventa precarietà una persona non possa nemmeno ambire... ad un figlio! Questa crisi poi, qualunque dimensione prenda, deve far riflettere sul fatto che se non si riescono ad avere regole internazionali forti si rischia di calpestare i cittadini.. faccio notare che in parte non è stata generata in borse occidentali ma in "paradisi fiscali".
    Il problema è che fare regole non è semplice. L'età dell'oro non è mai esistita, ma proprio oggi che gli economisti si sono lanciati a bomba nello studio della RCS (responsabilità sociale d'impresa), rendendosi conto che senza un sostrato etico non è possibile il benessere, la dimensione gigantesca ed impersonale delleconomia rende difficilissima una responsabilità non rara e di facciata.. a meno che non si riesca a creare una comunità mondiale, o quantomeno aree gigantesche (quantomeno Europa ed USA insieme) non riescano a coordinarsi - lasciando da parte interessi particolari - facendo pressioni importanti. Per la verità ci si sta provando in alcuni ambiti...
    C'è un rischio però ancora più grande: il rischio che si scopra che
    - con la fine del petrolio, la "torta da dividere" non sia poi così grande. Ma il petrolio non è l'unico problema... insomma, c'è tutta una questione di sostenibilità, che in parte si può attenuare imponendo regole MONDIALI, in parte no.
    - che comunque sia non possa essere più di tanto grande e che qualche miliardata di persone in povertà è una cosa necessaria. Tra 40 anni potrebbe toccare a noi se non siamo bravi a competere...

    Posto che, all'interno di "queste regole", a mio avviso competere in modo intelligente e lungimirante è un dovere, ed in Italia non ne siamo capaci, c'è chi ipotizza di "uscire dal sistema"

    Decrescita felice: per uscire dalla crisi

    Queste teorie iniziano ad essere prese sempre più sulserio. Approcci del genere si possono declinare in due modi:
    - o come modello di formazione culturale, ovvero applicare una logica, un'etica quasi direi, nel proprio consumare. Ma in tal caso è difficile ottenere un cambiamento sostanziale, è difficile aggirare i consumi indotti
    - o come modello politico. E qui secondo me c'è una questione curiosa.
    I programmi elettorali dei partiti delle ali "estreme" (con o senza virgolette), buffamente sembrano andare proprio in questa direzione. Quello che rimane, quello che omettono di dire (o forse, a mio avviso, di capire), è che sistemi del genere non consentirebbero la ricchezza che viviamo oggi.
    Ma sarebbe ipotizzabile che sistemi del genere portino ad una migliore qualità della vita?
    Su una cosa voglio essere chiaro: decrescita non è uno scherzo. Riduzione delle risorse complessive. Potrebbe trattarsi di cibo, cure, o altro. Ma l'idea è che queste risorse se si esce dalla logica della competizione possano essere meglio distribuite, meglio gestite, più sostenibili nel tempo. E' un progetto che necessita di una parziale autarchia ed un parziale isolamento, e dunque di una regressione enorme. Questo perché non potrebbe reggere il confronto con paesi dall'economia liberale e verrebbe cannibalizzato (ammesso che alla lunga non lo sia con la forza).
    Significherebbe dunque decidere, e non è cosa da poco, che abbiamo raggiunto un livello tecnologico tale da poter ambire ad una vita discretamente spensierata, e che al benessere economico anteponiamo altro. Assumendocene la resposnabilità.. nel senso che si potrebbe rischiare di riscoprire... la fame.
    Vi affascina quantomeno, l'ipotesi di una povertà felice, in cui sono garantiti alcuni bisogni a tutti (casa, riscaldamento passabile, vestiti, cultura, cure mediche di livello decente, tempo libero) ed in quel senso è rimossa ogni preoccupazione (con limitazioni enormi, nel senso che si accetta che se viene un tumore magari si crepa e non si sognano cure avanzatissime, si accetta che magari il riscaldamento non è il massimo e sul cibo non si può scialare), al prezzo di mettere a rischio tutto il resto?

    Questo progetto è possibile? Rischierebbe di essere un suicidio, un'autoterzomondizzazione? O allo stato attuale del mondo potrebbe garantire anche una (molto relativa) abbondanza?
     
    #1
  2. Monk

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    29 Dicembre 2008

    Headless, secondo te è possibile una via di mezzo tra queste due visioni "estreme"? Cioè un mondo dove magari il secondo esempio è limitato solo all'eliminazione del progresso "superfluo" e non a cose importanti come la ricerca scientifica, mentre la globalizzazione sarebbe ristretta solo (utopia) ad una globalizzazione di diritti e doveri, cioè un'uniformità etica su grandi temi (lavoro, rispetto della vita umana, libertà dell'individuo, ecc.).
     
    #2
  3. HeadlessChild

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    29 Dicembre 2008

    Uhm.. già non sicuro che sia possibile la globalizzazione virtuosa delle regole mondiali anziché quella di ricchi e poveri, e sono ancora più titubante sul fatto che autolimitarsi non significhi banalmente autoimpoverirsi sotto tutti i profili.
    Questa via di mezzo sinceramente non me la saprei figurare sotto un profilo pratico :P

    L'eliminazione del progresso superfluo - se inteso in una certa maniera - è certo pensabile. Ma non è un progetto politico, è un progetto culturale. Al capitalismo è indifferente che tu compri vestiti firmati (ma cuciti in cina), che tu vada a teatro, che tu compri made in italy o che tu metta i tuoi soldi in banca affinché siano prestati a qualcuno che ha un progetto imprenditoriale. Le scelte del consumatore indirizzano la produzione. Inteso in questo senso il superfluo si può eliminare... potremmo avere meno negozi di vestiti e più conferenze retribuite. Meno stilisti di bassa lega e più artisti.
    Il problema è che il capitalismo funziona laddove un piatto di pasta è comunque una frazione bassissima dello stipendio di una persona, dunque dove si produce valore in enormi quantità, qualunque tipo di valore che possa essere venduto in modo vantaggioso sui mercati stranieri, che siano libri o cazzate.

    La competizione non è invece compatibile con l'idea di "lavoro poco, mi dedico agli affetti familiari" e robe del genere. Fare cose che siano ambite da qualcuno è qualcosa che dev'essere stimolato, così come il desiderio della gente. Il consumo insomma. Ci rendiamo benissimo conto che anche lo stimatissimo metal, lo ascoltiamo in quantità e con una varietà che sono sconosciute alla storia dell'uomo precedente al dopoguerra... praticamente lo consumiamo, come testimonia la sua rapidissima evoluzione, a fronte di una storia della musica che nel passato poteva rimanere quasi stabile per decenni o più.
    Per ottenere una limitazione vera, è necessario invece un progetto politico che impedisca in qualche modo la competizione. A dirla tutta questa non è un'idea bislacca. La legislazione di tutela del lavoratore va in quella direzione. E non è, quantomeno ad oggi, necessariamente in contrasto con la ricchezza: la Francia è una delel più grandi economie mondiali con un orario di lavoro di 6 ore, ed il welfare scandinavo è qualcosa di incredibile. Si tratta di paesi in cui per quasi tutti è riconosciuto tutto: sanità, tempo libero, cultura, redditi minimi (anche per i disoccupati) ecc..
    Anche l'Italia dando uno sguardo d'insieme non è messa male (a preoccupare semmai è il suo declino sistematico da ormai quasi 20'anni, è la condizione dei nuovi lavoratori... e non accennano a palesarsi progetti politici intelligenti).
    Tutto questo è possibile perché le nostre/loro economie (che son partite da posizioni avvantaggiate, per vari motivi e sotto vari aspetti) hanno dei contenuti (tecnici, culturali, scientifici) più avanzati. Le cose però potrebbero cambiare (anzi, stanno cambiando), e non è detto che il futuro sia roseo (soprattutto per l'Italia).. all'alba del grande capitalismo, è ormai noto, all'aumento incredibile di ricchezza prodotta è corrisposto paradossalmente un abbassamento della qualità della vita delle fasce basse della popolazione (cioè quasi tutti), che è andato migliorando solo quando si è scoperta l'esigenza di incentivare la domanda interna. Non è detto che non si vada incontro ad un'altra "fase oscura", con una disponibilità illimitata di cazzate ed una disponibilità ridottissima di cose quali una casa, tempo per vedere ipotetici figli, certezze, ecc.. cose di per assurda e che porterebbe - di fatto e di forza - a "rivolte" dai contenuti più o meno logici/accettabili. Ma anche in ipotesi migliori, ci si potrebbe scontrare con il paradosso di un'evoluzione tecnica e tecnoligica senza precedenti al servizio di esistenze mediocri. O banalimente si potrebbe scoprire che forse il capitalismo è figo solo se si sta dalla parte dei ricchi e che la maggior parte devono essere poveri per necessità tecniche.

    L'unico modo per uscire da un'ipotesi negativa del genere (posto che è un'ipotesi negativa, non è detto che vada male) potrebbe essere un ampio isolamento economico. Non si può competere ma con il motore azzoppato. Si può però non competere.

    Sia chiaro.. forse sto scivolando nell'utopia.. forse sto descrivendo un'idea di progetto futuro assomiglia ad una strana Cuba democratica...
     
    #3
    Ultima modifica: 29 Dicembre 2008
  4. Monk

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    29 Dicembre 2008

    Eh, non hai tutti i torti, facevo della teoria :D

    Non è che questo sia molto più pensabile, visto il mondo attuale :D. Io ad una cosa del genere non ci penso nemmeno, perchè è impossibile "rieducare" questo mondo al non consumismo. Io ipotizzavo la cessazione per esempio di produzioni di energia i cui costi non sono più sostenibili, sia in materia economica che ambientale, come ad esempio il petrolio. Oppure la cessazione della produzione di armi terribili, come bombe a grappolo, mine anti-uomo, ecc. Cioè la cessazione di tutto ciò che oltre al mero capitalismo da pescecani comporta danni e spese per tutti.

    Mi dici cose che ammetto di non sapere. I miei studi sono lontani dai problemi dell'economia moderna, mi limito a leggere giornali italiani ed esteri e ad informarmi su Internet. Un progetto politico come quello che auspichi tu, lo dico da ignorante della materia, mi sembra inapplicabile nell'Italia attuale, proprio perchè le regole del capitalismo sono state stravolte e quindi non si può fare, a mio avviso, una scelta di Stato sociale che inverta le regole della competizione, perchè in Italia non c'è libera competizione. C'è il monopolio e il conflitto di interesse, concetti credo antitetici nei confronti del capitalismo, ma che qui in Italia sono estesi a quasi tutti i settori: servizi, telecomunicazioni, assicurazioni, banche, ecc.
    Correggimi se sbaglio, ma credo che da noi tutto ciò che si potrebbe a rigor di logica chiamare libero mercato non esista, ergo certe politiche di welfare come quelle da te citate, sono ancora più difficilmente pensabili. O pensi che certe normative si inseriscano a livello globale e che quindi quanto faccia un singolo paese sia ininfluente? Nel senso che, una volta che tutto il mondo prenderà quella direzione, allora anche la classe politica in Italia si adeguerà? Io non lo credo, visto che per anni abbiamo fatto gli zerbini degli USA, ma abbiamo poco o nulla della loro legislazione, organizzazione ed economia.


    Mah, guarda, nonostante abbia ribadito in molte discussioni qua dentro la mia contrarietà ad isolarsi, voglio specificare che intendevo questo solo in merito ai rapporti umani e ai nazionalismi che sfociano in forme di intolleranza. Ma per ciò che riguarda le regole del libero mercato, per me sarebbe un sogno che l'economia di un paese decidesse di non uniformarsi alle regole della globalizzazione. Però sono convinto, senza cadere in pazze teorie cospirazioniste, che se la maggioranza stesse con il libero mercato, multinazionali e grandi potentati economici troverebbero il modo per gettare le nazioni ribelli nel caos.
    La vedo dura. Uscire dal giogo di questa economia non è cosa semplice.
     
    #4
  5. HeadlessChild

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    29 Dicembre 2008

    Ah beh... quello con enorme pttimismo è pensabile :P
    ...quantomeno è molto più realistico di tutto il resto del topic :D



    No beh... sotto questo profilo hai ragione. L'italia non può avere la ricchezza degli altri paesi europei perché al nostro sistema manca l'intelligenza. O forse c'è troppa furbizia... dipende da come vogliamo vederla.
    Ma il mio non era tanto un progetto, quanto una constatazione.. per la serie: esiste il modello del capitalismo intelligente, è un modello a cui potremmo ispirarci per cercare di coniugare vantaggi competitivi e benessere diffuso. Al momento questa è la mia "idea politica".
    C'è da dire però che questo modello potrebbe rivelarsi ...non eterno.



    Beh in realtà non è un'obiezione da poco. I cosidetti "poteri forti" sono una realtà esistita in qualunque società, ed è ormai concezione diffusa che l'autarchia, ed in generale il blocco del commercio internazionale, sia stato tra le primissime cause della seconda guerra mondiale: se il mercato è interno, per espanderlo bisogna espandere il confine...
    ...anche questo dunque è un fattore da considerare.

    Uhm... diciamo che non proponendolo nell'immediato come progetto politico non ho assolutamente pensato a queste problematiche.. in realtà non penso sia solo questione di multinazionali. Non sono convinto che l'operaio italiano ambisca, nella massima buonafede ed autoconsapevolezza, ad un impoverimento volontario. Gli si può dare torto?
    Effettivamente a ben pensarci un progetto del genere potrebbe nascere solo in seguito ad una lunga fortissima crisi del sistema...
    ...c'è da dire che a parlarne ORA il progetto ha un certo sapore.. ad immaginarmelo in un momento di stremo dei cittadini direi che assumerebbe connotati sanguinari...
    ...c'è da dire che se idee del genere avessero una certa presa e prendessero un certo tipo di forma ORA (e di fatto ce l'hanno... persino Pallante che a mio avviso ha un progetto "un pelo ingenuo" ha un successo enorme.. ma in realtà è da un pezzo che tra i neocomunisti che hanno preso atto dell'impossibilità dello sviluppo socialista sento elogi della società equamente povera), magari in futuro potrebbero non essere solo speculazione teorica ed offrire un canovaccio migliore della rabbia del momento...

    ...quello che è geniale secondo me è proprio l'idea in se di decrescita controllata volontaria. Estremisti di ogni genere propongono sistemi sociali alternativi che non possono in questo mondo garantire ricchezza, ma questo lo nascondono. Vendono illusioni che si nutrirebbero di economie pompate artificialmente, con materiale bellico o lavoro coatto. Spesso si lamenta che questo sistema "si da per scontato" e non lascia spazio ad ipotesi diverse.
    Ho sempre sostenuto che uno prima dovrebbe portare le ipotesi diverse credibili e poi contestare il sistema.. e dopo anni ecco che salta fuori "la decrescita felice". Che stronzata ho pensato subito. :D
    ...ma in realtà alla fine secondo me questa è l'unica chiave di lettura possibile per un mondo sostanzialmente diverso. Accontentarsi...
     
    #5
    Ultima modifica: 29 Dicembre 2008
  6. Raskolnikov

    Raskolnikov
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    30 Dicembre 2008

    Il topic merita una risposta approfondita, mi dispiace di non avere al momento il tempo per provare a produrla.

    Per adesso mi limito a un "non mi convince affatto".

    Non mi convince perchè l' "economia liberale" a me pare l'unico sistema che garantisca una ragionevole aspettativa di salvaguardia delle libertà individuali.

    Il prezzo da pagare per le belle cose che dici tu temo vada oltre la "semplice" stagnazione o decrescita (che già non è basso), e che sia da pagare in termini di libertà.

    Chi decide qual'è il tasso di crescita (positivo o negativo) dell'economia compatibile con la "felicità" della comunità? Come lo si raggiunge?
    Che spazio c'è per chi ricerca il progresso tecnologico in quanto scienziato?
    Il parziale isolamento di cui parli non è un enorme passo indietro in termini di libertà?
    Chi è che dovrebbe gestire meglio le risorse? Lo stato? Mi si permetta una buona dose di diffidenza..
     
    #6

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